Fred Haring
This Grand Parade
Blue Rose
2000


1/2


Riuscire a seguire tutte le frenetiche proposte della Blue Rose è diventata impresa quasi insostenibile: inevitabile che nel marasma di proposte messe sul tavolo, non tutto ciò che i "terribili ragazzi" di Abstatt propongono possiede le caratteristiche per essere considerato un piccolo capolavoro del roots-rock contemporaneo. Fred Haring è quello che si definisce un onesto gregario del rock'n'roll provinciale americano, uno dei numerosi operai delle radici che va a rimpinguare il catalogo dell'etichetta. Il fatto che venga prodotto da Dan Baird, un anima da sempre al servizio del rock'n'roll, può segnare qualche punto a suo favore, ma quello che in definitiva interessa sono le canzoni. Fred Haring sembra averne un buon bagaglio, mostrando un songwriting da classico outsider, dividendo le sue radici musicali tra il battito crudo del rocker di provincia e il classico taglio del folk singer. L'apertrura affidata alla stessa This grand parade ci mostra i risvolti stradaioli dell'autore, una roots-rock ballad ben impostata, ma anche un poco risaputa, dove chitarre (Andy Harrison e lo stesso Fred Haring) e piano viaggiano in sintonia e la parte corale arrichisce il brano di umori blue-collar. Impressione confermata dalla seguente Work in progress, sound robusto, chitarre suglii scudi (è della partita anche Dan Baird) e una vicinanza d'intenti con l'opera di John Mellencamp. Un nome che si riaffaccia spesso nelle pieghe del disco, visto, per esempio, ballate folk-rock come Apathy o There's a song in my head, in cui il violino di Teresa Fyffe richiama alla memoria i tempi di The lonesome jubillee. Tremont, Illinois Christmas staziona ancora dalle parti di un piacevole folk-rock, con qualche influsso irish, arricchendosi di sapori rootsy grazie al banjo e all'onnipresente violino. Bones into dust sfoggia un suono acustico attendista che esplode solo nel finale, mentre Last man standing tira fuori lo spirito rock'n'roll di Fred Haring, con chitarre spudoratamente sudiste come piacevano tanto alla vecchia band di Baird, i dimenticati Gergia Satellites. Gli episodi più cantautorali della raccolta, in parte i più deboli, restano invece la pianistica A prayer for Evan Dando, le acustiche Habits of the heart e Forgive me e l'evocativa chiusura di Changing stations, che in realtà lascia spazio ad una divertente ghost track in clima country-rock. Due stelle e mezza vanno all'onestà ed alle capacità di scrittura, per una migliore resa d'insieme lasciamo aperto il giudizio in attesa delle prove future.