Ray Wylie Hubbard - Growl Philo/IRD 2003 1/2

Il nome è indissolubilmente legato ai tempi pionieristici degli outlaws texani, metà anni settanta, parte integrante di un movimento di fuorilegge della country music che dettero una scossa di rinnovamento ad un genere impaludato nei lustrini di Nashville. Tuttavia Ray Wylie Hubbard è sempre stato un personaggio schivo e defilato, anche nei confronti dei compagni di quella avventura, non ha goduto delle stesse ammirazioni e si è costruito una carriera altalenante, che solo negli ultimi anni sembra aver preso piena coscienza dei propri mezzi espressivi. Da quando si è ulteriormente stretto il legame con Gurf Morlix, chitarrista dal tocco assassino e produttore di prima classe (già con Lucinda Williams), è avvenuto un salto di qualità indiscutibile, magistralmente rappresentato dal nuovo lavoro Growl. Completamento ideale del precedente Eternal and Lowdown, non propone particolari sconvolgimenti, ma prosegue su un percorso di rielaborazione delle sue radici country-blues, oggi più che mai immerse in un sound crudo ed elettrico, dall'ossatura scarna. Impregnate di una cadenza primordiale che non avrebbe sfigurato sul catalogo Fat Possum, le canzoni di Growl sono scheletri che rantolano tra la desolazione del deserto e le luci scintillanti delle highways di Dallas o Houston. Una voce cavernosa si accompagna a chitarre slide dai riti voodoo (Bones) e tenebrose ritmiche bluesy (The Knives of Spain), avvolte in un clima bollente e notturno (Purgatory Road, Preacher) che spesso prende il largo verso un'autentica rotta rock'n'roll (l'inno alla musica texana piazzato in chiusura con Screw You, We're From Texas o la saga sulla moderna industria musicale narrata nell'ironica Rock'n'roll Is a Vicious Game). Omaggiato dalla presenza in studio di molti talenti della canzone roots (tra cui Jon Dee Graham e Mary Gauthier in Name Droppin') e navigati musicisti quali Buddy Miller e Jud Newcomb, Hubbard ha dato un'ulteriore saggio dell'attuale stato di grazia del suo songwriting, con uno dei dischi più convincenti della sua lunga carriera.
(Fabio Cerbone)

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