Non
esattamente uno sconosciuto questo Mark Jungers, di cui ci eravamo
già occupati un paio di anni fa con il promettente Standing
In Your Way, disco di robusto country-rock fuorilegge che lo
imponeva tra i nuovi nomi da seguire sull'immensa scena di Austin. Ad
essere precisi Mark è originario del Minnesota e per diverso tempo
ha vissuto anche sulla costa est, prima di trasferirsi definitivamente
in Texas. La scelta era quasi obbligata, a sentire le sue ballate ruspanti
e quel grezzo roots sound che contraddistingue i quattoridici brani di
One for The Crow. Un lavoro che conferma tutti i pregi e
i difetti dei precedenti (siamo al terzo), anche se la consistenza del
materiale proposto lo segnala come il suo migliore sforzo. Dipenderà
in parte dall'affiatamento raggiunto con i Whistling Mules, ottimi
musicisti dalla pregevole tecnica nelle cui fila si mettono in evidenza
Wes Green (fondamentale con mandolino e fiddle) e Adrian Schoolar
(chitarre, dobro, lap steel). Il timbro offerto dalla band è chiaramente
da ribelli del country: qui non troverete produzioni altisonanti, ma ballate
country&western secche, in prevalenza acustiche, che talvolta si mischiano
con un folk-rock dall'impronta dylaniana (soprattutto nell'utilizzo dell'armonica).
Mi ha colpito infatti la scelta di non ricorrere spesso alle chitarre
elettriche (si fanno sentire forte e chiaro solo nel finale con Fool
Like Me), preferendo sonorità più rurali. Just Can't
Wait, Wont be Long, Deep in My Heart, sempre accompagante
da una solida sezione ritmica, sono costruite proprio con queste dinamiche
e funzionano a meraviglia. Learned By Now ad esempio è una
rock song a tutti gli effetti, nascosta però sotto le sembianze
di una ballata tradizionale. Il ruolo dei protagonisti viene allora ricoperto
dal mandolino, dal violino o dalla già citata armonica, uno strumento
a cui Jungers si appoggia molto volentieri. Certe spiritose marcette country-blues
(Buckys Car, Walking Down the Road, We Walk, Fences)
sono lo specchio di questo stile informale, che mi ha riportato all'esordio
dello sconosciuto Steve
Owen, un altro storyteller "non allineato" con i
gusti nashvilliani, ma che deve molto anche ad un mostro sacro come John
Prine (vedi la scarna Dig). Jungers non è un genio nella
stesura degli arrangiamenti, ha un suono a volte un po' limitato che sulla
distanza può risultare monocorde, ma possiede una voce rude che
ha studiato alla migliore scuola degli Outlaws texani. Insomma uno di
cui ci si può fidare ciecamente
(Davide
Albini)
www.markjungers.com
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