Mark Jungers - One For The Crow American Rural 2004 1/2
 

Non esattamente uno sconosciuto questo Mark Jungers, di cui ci eravamo già occupati un paio di anni fa con il promettente Standing In Your Way, disco di robusto country-rock fuorilegge che lo imponeva tra i nuovi nomi da seguire sull'immensa scena di Austin. Ad essere precisi Mark è originario del Minnesota e per diverso tempo ha vissuto anche sulla costa est, prima di trasferirsi definitivamente in Texas. La scelta era quasi obbligata, a sentire le sue ballate ruspanti e quel grezzo roots sound che contraddistingue i quattoridici brani di One for The Crow. Un lavoro che conferma tutti i pregi e i difetti dei precedenti (siamo al terzo), anche se la consistenza del materiale proposto lo segnala come il suo migliore sforzo. Dipenderà in parte dall'affiatamento raggiunto con i Whistling Mules, ottimi musicisti dalla pregevole tecnica nelle cui fila si mettono in evidenza Wes Green (fondamentale con mandolino e fiddle) e Adrian Schoolar (chitarre, dobro, lap steel). Il timbro offerto dalla band è chiaramente da ribelli del country: qui non troverete produzioni altisonanti, ma ballate country&western secche, in prevalenza acustiche, che talvolta si mischiano con un folk-rock dall'impronta dylaniana (soprattutto nell'utilizzo dell'armonica). Mi ha colpito infatti la scelta di non ricorrere spesso alle chitarre elettriche (si fanno sentire forte e chiaro solo nel finale con Fool Like Me), preferendo sonorità più rurali. Just Can't Wait, Wont be Long, Deep in My Heart, sempre accompagante da una solida sezione ritmica, sono costruite proprio con queste dinamiche e funzionano a meraviglia. Learned By Now ad esempio è una rock song a tutti gli effetti, nascosta però sotto le sembianze di una ballata tradizionale. Il ruolo dei protagonisti viene allora ricoperto dal mandolino, dal violino o dalla già citata armonica, uno strumento a cui Jungers si appoggia molto volentieri. Certe spiritose marcette country-blues (Buckys Car, Walking Down the Road, We Walk, Fences) sono lo specchio di questo stile informale, che mi ha riportato all'esordio dello sconosciuto Steve Owen, un altro storyteller "non allineato" con i gusti nashvilliani, ma che deve molto anche ad un mostro sacro come John Prine (vedi la scarna Dig). Jungers non è un genio nella stesura degli arrangiamenti, ha un suono a volte un po' limitato che sulla distanza può risultare monocorde, ma possiede una voce rude che ha studiato alla migliore scuola degli Outlaws texani. Insomma uno di cui ci si può fidare ciecamente
(Davide Albini)

www.markjungers.com