Chris Robinson - This Magnificent Distance HardHead/Vector 2004
 

Personalmente, rientrando tra quelli che avevano apprezzato il precedente New Earth Mud (2002), nutrivo grosse aspettative nei confronti di Chris Robinson, ex-frontman dei mai troppo lodati Black Crowes, eppure mai mi sarei aspettato un secondo disco solista così complesso, variegato, ricco di intuizioni felici e creative. Invece, fatto quadrato attorno a una band - George Lake (tastiere), Jeremy Stacey (tamburi), George Raiff (basso) - solida, rocciosa e al tempo stesso straordinariamente eclettica come nella migliore tradizione southern, condivisi alcuni crediti di scrittura con lo spettacolare chitarrista Paul Stacey e chiamati a raccolta diversi conoscenti di comprovato talento (Ethan Johns tra questi), Chris ha sfoderato un album monumentale, candidato sin da ora e senza nessuna esitazione al titolo di disco dell'anno. This Magnificent Distance porta a compimento un'operazione titanica, cioè a dirsi la sintesi di tutti gli umori, le musiche e le tradizioni del sud degli States: country, blues, ululati jazzy, rock'n'roll, randellate hard, profumi latini, attitudine improvvisativa e roventi fughe psichedeliche si sposano a meraviglia in un lavoro che comunque nulla conserva di enciclopedico o accademico, risultando anzi positivamente contaminato da una scanzonata verve hippy che ce lo rende ancor più simpatico, vicino, sincero. Se quasi 70 minuti di musica possono sembrare troppi, o troppo prolissi, be', vi assicuro che in quest'ora e rotti non troverete un assolo, una svisata o una piccola jam che, attraverso un minimo di frequentazione, non risultino funzionali alle canzoni, ispessendone il tessuto anziché impoverirlo. L'eredità dei Corvi è presto liquidata nel pezzo più tirato della raccolta, l'iniziale 40 Days, uno scossone vecchia maniera che non può non rammentare il suono compresso, serrato e stradaiolo di quel By Your Side ('98) prodotto da Kevin Shirley, alla cui lezione Chris sembra rifarsi esplicitamente nella claustrofobia heavy di una When The Cold Wind Blows At The End Of Night altrimenti bucolica e folkie, nel rincorrersi di pianoforte e batteria di una Surgical Glove che potrebbe appartenere al repertorio dei primi Led Zeppelin, nel devastante rifferama di una Sea Of Love dall'incedere quasi grunge e nei controtempi tagliati dall'armonica d'una scatenata Piece Of Wind che avrebbe fatto faville nei live degli Humble Pie (attenzione a queste ultime due canzoni!: il booklet e la copertina del disco ne invertono la posizione in scaletta). Ancor più denso e stratificato è il suono di Girl On A Mountain, quieta partenza country-folk traghettata verso un'allucinata deriva psichedelica, o di una Mother Of Stone rubata di peso al Santana degli anni '60 e contrappuntata dai licks chitarristici di un Paul Stacey nelle cui dita scorre tutta la storia del blues di Chicago. Stesso discorso per i formidabili up&downs di Train Robbers, capace di muoversi con inaudita naturalezza tra folk psicotico, stacchi hard che nemmeno gli ultimi Allmans e impennate ritmiche della batteria, assolutamente fuori da qualsiasi schema nella tempesta elettrica dei bridge. Maggiore quiete la si trova nelle malinconiche parentesi di Like A Tumbleweed In Heaven e The Never Empty Table, nella grandeur vocale à la Rod Stewart di …If You See California (ballata davvero magnifica), nell'intro acustica di una Eagles On The Highway che non rinuncia a picchiare duro nella torrida sterzata finale. Che volete di più? Questo è rock'n'roll in una delle sue espressioni più contagiose
(Gianfranco Callieri)

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