James McMurtry - Childish Things Compadre records 2005
inserito il 03/10/2005

"L'America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto"
(James Ellroy, American Tabloid)

Di fronte all'ultima fatica discografica di James McMurtry si è obbligati a partire da un punto molto preciso: scorrono le immagini di We Can't Make it Here, come sempre di una profondità descrittiva che ha pochi paragoni nel songwriting odierno, e ci si accorge che il cantautore texano ha sfoderato una delle folk song più politiche degli ultimi anni, intendendo con il termine "politico" non tanto una semplice e magari anche un po' scontata invettiva anti-Bush, quanto piuttosto una spietata fotografia della miseria di una nazione, la stessa che si è palesata sotto gli occhi di tutti durante la recente tragedia di New Orleans. L'incalzante talkin' abbinato ad un rock'n'roll aguzzo e scheletrico raggiunge il suo scopo. Resta tuttavia nella mente la narrazione di McMurtry, il resoconto di soldati mandati al macero, reduci senza casa, madri senza futuro con figli a carico, lavori sottopagati, odio razziale e quant'altro. Resa disponibile sul sito personale dell'artista durante l'ultima campagna elettorale, We Can't Make it Here ha fatto il giro delle radio indipendenti, riscuotendo un notevole successo, segno che i sondaggi in picchiata libera sul presidente sono una volta tanto lo specchio fedele del paese. Per il resto Childish Things non alza le barricate alla maniera di Steve Earle, ma, non me ne voglia quest'ultimo, è un lavoro molto più penetrante ed efficace nei suoi obiettivi. La disillusione raccontata nella stessa title track, la nostalgia dell'adolescenza e la ricerca di una innocenza perduta si nascondono dietro canzoni quali See the Elephant, Memorial Day, Charlemagne's Home Town, dando comunque una visione disincantata della terra in cui McMurtry si ritrova a vivere. Prodotto in casa, con i soliti fidati musicisti (ci sono Ronnie Johnson al basso e Daren Hess alla batteria), e qualche ospite di riguardo (Joe Ely duetta nel rifacimento dello standard country Slew Foot, David Grissom lancia fiammate alla chitarra solista), Childish Things è la prosecuzione della nuova stagione inaugurata con la Compadre records. Il muscoloso e monilitico suono del precedente Live in Aught Tree si traduce in studio con più dovizia di particolari: l'impianto sonoro ricorda da vicino le scorribande elettriche dei primi dischi, in particolare Candyland, pescando a piene mani in un rock'n'roll tagliente, da bar-boogie band (la cover di Old part of Town di Peter Case, la scalmanata Pocatello) e lanciandosi in trascinanti ballate che trasudano puro heatland-rock alla John Mellencamp (una Bad Enough arroventata dalla solista di Grissom in primo piano). C'è tempo comunque per riflettere e decelerare, portare allo scoperto nuove soluzioni (violini, sax e trombone nel country rock corale di See the Elephant, un accordion e tanta poesia da boder in Charlemagne's Home Town) e storie continuamente rivolte ai margini (l'acustica chiusura di Holiday). Da James McMurtry non ci aspettiamo altro, persino che rifaccia il verso al suo stesso stile in Restless e Six Year Drought, l'importante è che conservi questa dura scorza e porti il peso della migliore tradizione cantautorale americana: in Childish Things ci sono sufficienti indizi per considerarlo "il più sincero ed aspro songwriter della sua generazione". Parola di un fan d'eccezione, Stephen King.
(Fabio Cerbone)

www.jamesmcmurtry.com
www.compadrerecords.com