inserito 10/01/2006

The Hold Steady
Boys and Girls in America
[
Vagrant 2006]

1/2

Una copertina assai poco invitante per uno dei dischi rock del 2006, almeno fermandosi ai resoconti di fine anno di gran parte della stampa specializzata americana. Boys and Girls in America staziona infatti sulla vetta di molte riviste come una delle rivelazioni dell'anno appena trascorso: gli Hold Steady e soprattutto il loro deus ex machina Craig Finn, autore e declamatoria voce solista dal talkin' serrato, hanno aperto una breccia con il loro romanticismo rock e i loro riff di chitarra plateali, che sembrano trovare la formula definitiva per mettere d'accordo le tribù cresciute con il punk e quelle svezzate il classic rock degli anni settanta. È una bella definizione che il vostro recensore ha scovato in rete e di cui non vuole certo prendersi il merito, ma che sintetizza al meglio i connotanti di un disco traboccante di parole e icone, quasi "eccessivo" nel suo essere così appassionato, intriso delle bellezze e dei luoghi comuni del rock'n'roll. Non ho idea se si tratti di un capolavoro, come qualcuno ha subito cercato di far credere, ma ha certamente anima da vendere, canzoni che gonfiano il petto e scrosci di elettricità che travolgono. Finn, come anticipato, si presenta come l'ultimo dei romantici, canta di una gioventù perduta e confusa e prova a fare il poeta di strada: in Stuck Between Stations, springsteeniana fino al midollo con quel piano a cascata che la attraversa, apre il sipario con citazioni rubate al celeberrimo On the Road di Jack Keruac e avete già capito dove andremo a parare. Le chitarre di Tad Kubler rovesciano un muro di punk rock e di riff che sfiorano in seguito persino l'hard rock (qualcuno ha scomodato i duelli dei Thin Lizzy e non è in fondo andato lontano dalla verità), non vergognandosi di recuperare una certa epicità che sembrava ormai perduta nei meandri dell'estetica indie rock. Così ci pare si atteggino gli Hold Steady e il loro rock'n'roll da grandi arene in Chips Ahoy! e Masssive Nights, brani che sono prima di tutto anthem, inni sfacciati e per questo forse sopra le righe, attraenti e quasi "sospetti". Questo atteggiamento potrebbe lasciare aperta un'incognita sulle reali intenzioni degli Hold Steady, ma non occorre fare un processo alle intenzioni. D'altronde, come restare indifferenti di fronte al turbinare di Party Pit e Southtown Girls, che oltrepassa quarant'anni di sogni rock'n'roll con assoluta innocenza, oppure alla sfrontata energia punk di Same Kooks, brano che ci ricorda la formazione musicale di Finn, da sempre innamorato perso di Replacements e Husker Du, nonostante finisca per assomigliare più ai Soul Asylum dei tempi migliori. Innocenti dunque, ed innocente vogliamo credere sia tutta l'operazione di Boys and Gilrs in America: la storia recente della band lo dimostra e il suo cambiamento o evoluzione che dir si voglia è un altro punto a favore.
(Fabio Cerbone)

www.theholdsteady.com
www.vagrant.com


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