inserito 14/02/2007

Bob Frank & John Murry
World Without End
[Bowstring records 2006]


1/2

Progetto assolutamente intrigante questo World Without End, seppure non di particolare originalità tematica (in molti sono già passati da questi lidi). Una spettrale raccolta di murder ballads ci accompagna attraverso dieci narrazioni storiche, realmente ispirate da fatti criminosi accaduti fra gli inizi dell'ottocento la metà del secolo scorso. Ogni brano, da Little Wiley Harpe, 1803 a Doc Cunningham, 1868 è strettamente segnato dal nome dell'assassino e dalla data del misfatto, un freddo e spietato diario di morte. Come dire, un filo rosso che segue il cammino di violenza che da sempre ha segnato la costruzione della società americana dai suoi albori. Soltanto che questa volta il dettaglio messo in campo da Bob Frank e John Murry, songwriters per conto proprio ed uniti dalla forza di un'idea, si sofferma con maniacale attenzione sulle sofferenze e la follia dei singoli, l'agonia e il terrore delle vittime, accompagnando il racconto con un libretto ricco di citazioni da gazzette dell'epoca, persino dei versi di William Faulkner, ed illustrato dai disegni di Charlie Buckley. Uno sforzo encomiabile per la difficoltà del tema trattato, istintivamente repulsivo e a rischio di noia: con materiale completamente autografo tuttavia, Wolrd Without End non è affatto una boriosa riflessione sul passato, non si sofferma sul ripescaggio della tradizione folk, ma propone una rielaborazione attuale di quest'ultima. Coraggiosi Bob Frank e John Murry, i quali si dividono la posta in gioco alternandosi al canto e maneggiando chitarre, banjo e lap steel. Prodotto da Tim Mooney degli American Music Club e masterizzato da Matt Pence dei Centro-Matic, il suono di Wolrd Without End conferma infatti un fondamento folk e country, che si aggira nei territori oscuri e southern gothic dei Sixteen Horsepower (la marcetta di Madeline, 1796), naturalmente del Nick Cave delle ben note Murder ballads o della Handsome Family più onirica. Proprio per questo motivo è veramente difficile circoscrivere la solennità di Tupelo, Mississippi, 1936 e John Willin, 1844, oppure i rintocchi lugubri di Jesse washington, 1916 dentro il ristretto ambito roots o peggio alternative country. I momenti più apertamente tradizionalisti restano relegati alla dolce litania country rock di Bubba Rose, 1961 e alla gemella Kid Curry, 1904. Il suono distintivo di piano ed organo, così come le curiose comparse del glockenspiel e dell'accordion (tutti nelle mani di Nate Cavalieri), cospirano piuttosto verso un suono più impalpabile e spirituale (i toni gospel della conclusiva Doc Cunningham, 1868), che conserva l'anima più recondita di queste melodie.
(Fabio Cerbone)

www.bobfrankandjohnmurry.net


<Credits>