inserito il 02/06/2008

Bonnie "Prince" Billy
Lie Down in the Light
[Drag City/ Domino 2008]



Non temendo affatto un cortocircuito artistico, dovuto alla sua più che abbondante produzione (non sono passati che pochi mesi da Ask Forgiveness, seguito dal live Wilding in the West), Will Oldham in arte Bonnie Prince Billy mantiene una rotta integerrima, quella che lo rende a tutti gli effetti un classico vivente della più contemporanea saga musicale americana. Perché l'effetto concreto che produce all'ascolto il nuovo capitolo della sua generosa discografia (disseminata di progetti più o meno paralleli e sotto mentite spoglie) è quello di un autore ormai assurto a grande depositario di una saggezza folk fuori tempo, un songwriter che come pochi altri è riuscito a scardinare le regole ferree di un mondo indie rock a volte un po' impermeabile e snob nei confronti delle leggi immutabili della tradizione.

Lie Down In The Light
è invece il disco più fieramente "tradizionalista" e adamantino che Oldham abbia realizzato dai tempi del bistrattato (e per noi invece stupefacente) Greatest Palace Songs, operazione che rileggeva con la cristallina eleganza di un'orchestrina country nashvilliana i suoi capolavori passati. La produzione di Mark Nevers (Lambchop) calca oggi la mano su un simile tracciato, smussando asperità e malinconie diffuse, creando un disco di una luminosa seranità, pur "minacciato" dalle solite ombre che abitano le canzoni di Bonnie Prince Billy. Confermata la compagnia del fratello Paul Oldham e di Emmett Kelly, a cui si aggiunge per l'appunto una calca di magnifici ospiti, Lie Down In The Light è un disco che si apre ad una religiosità pacifica, quella che rende possibile una preghiera conclusiva dello spessore di I'll Be Glad, corale gospel tinto di country che riassume il viaggio intentato nei tre quarti d'ora precedenti. Non piacerà ai puri e duri della prima ora questo mansueto capitolo della carriera di Oldham: troppa poca oscurità, poca concesione ai clichè di un folk torturato. Peggio per loro, perché si tratta infine del disco più ispirato e profondo dai tempi del giustamente celebrato I See a Darkness.

È l'aura senza tempo racchiusa in You Remind Me Of Something (The Glory Goes) e So Everyone, duetti da lucciconi con la voce femminile di Ashley Webber, che rende questo episodio del suo sterminato songbook un punto di assoluta eccellenza. Come riesca ancora a muoversi con tale grazia e fervore è solo un sintomo della raggiunta statura di classico di Bonnie Prince Billy. Sentitelo duettare con la citata Webber nella soave You Want That Picture e così rimandare sottilmente ad una nobile Nashville d'altri tempi, all'epoca d'oro di coppie dei miracoli della country music, seppure rilette con una sensibilità moderna, oppure donare il suo cuore in un walzer docile quale For Every Field There's A Mole (adattamento di un salmo del libro dell'Ecclesiaste) e fomentare una "scenata" folk rock dall'aria psichedelica nella strepitosa Where Is The Puzzle?.

Inquietudini e groppi in gola non mancano di certo, ma appaiono più addomesticati del solito (What's Missing Is, la stessa Lie Down In The Light, Willow Trees Bend), o meglio sciorinati con la sicurezza di un autore talmente maturo da concedersi a qualsiasi sfida. Ci aspettiamo infatti che, sulle orme dell'amato maestro Johnny Cash, Bonnie Prince Billy si metta a rileggere ogni piega del folklore americano.
(Fabio Cerbone)

www.dragcity.com
www.myspace.com/princebonniebilly


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