inserito 03/10/2008

Giant Sand
proVISIONS
[Yep Roc
2008]



Ho amato i Giant Sand di un amore sciocco, incondizionato e adolescenziale, il tipo d'amore che si può riservare a chi è capace di rileggere uno dei capisaldi della tua educazione alla musica - il patrimonio delle radici americane - attraverso un'ottica talmente personale da farti sentire assoluto protagonista del tuo tempo e del suo erratico divenire. Mi era però sembrato che la band, in anni recenti, fosse più o meno diventato un prolungamento difficilmente decifrabile delle ossessioni e dei mutevoli umori del leader Howe Gelb: in concomitanza con l'amichevole allontanamento dei Calexico, i Giant Sand, così come i dischi solisti di Gelb licenziati a seguito di un lavoro folle, struggente e geniale quale Hisser (1998), avevano finito col tramutarsi in una pubblica seduta di terapia costellata di opere inevitabilmente oscillanti tra la curiosità effimera e la mediocrità conclamata. Questo perchè a partire dall'ultimo capolavoro del gruppo - l'imperdibile Glum del '94 - ad aver preso il sopravvento era stata la logorrea di Gelb; una verbosità sempre interessante, certo, e talmente storta e lunare da conquistargli più di prima i favori della stampa indie, eppure spesso parimenti sconfortante nella propria penuria di grandi canzoni e punti di riferimento tradizionali.

Piace quindi trovarsi a constatare, in un misto di sorpresa e gratitudine, che Provisions è l'album più "classico" realizzato dai nuovi Giant Sand di Howe Gelb da parecchio tempo a questa parte. Non sarà nuovo, non sarà inaudito né troppo progressista, perlomeno non quanto ci si poteva aspettare rispetto all'ultima decade di carriera del gruppo, ma suona lo stesso maledettamente solido, rotondo ed ispirato, soprattutto nello sgocciolare di pianoforte della toccante Spiral o nel visionario impasto di slide e chitarre steel che contrassegna l'incedere inquieto di Pitch & Sway. Se le tastiere sono come di consueto affidate al solo Gelb, stavolta ad arricchire i dettagli dell'ordito sonoro ci sono tre danesi consapevoli del fatto loro, ovvero Anders Pedersen (sei corde), Peter Dombernowsy (tamburi) e Thoger T. Lund (basso), e il solito codazzo di amici e collaboratori che va dalla chitarra sbuffante di M. Ward (nel country à la Johnny Cash di Can Do) alle voci inconfondibili di Isobel Campbell (ascoltate il rosario di talkin' e paesaggi cooderiani dell'iniziale Stranded Pearl) o Neko Case (controcanto perfetto nel country-rock da manuale di Without A Word).

I fan dell'ultim'ora potrebbero lamentarsi del fatto che sì, le allusioni stilistiche di Provisions sono in genere assai prevedibili: un po' di allucinato Neil Young di qua (Belly Full Of Fire, Muck Machine), country stravolto di là (The Deseperate Kingdom Of Love), Lou Reed in sbornia rootsy nel mezzo (World's End State Park, Out There), senza dimenticare botte psichedeliche, rock'n'roll in libertà (la stupenda Well Enough Alone), accelerazioni improvvise e code dissonanti assortite. Ma chi apprezza i brani destinati a durare si faccia avanti: questo è un album da ascoltare a lungo. Bentornati.
(Gianfranco Callieri)

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