Tocca ripetersi e sgombrare ancora una volta il campo dai dubbi: si, Clare
Muldaur vanta un albero genealogico di tutto rispetto, almeno per
chi ha sempre avuto a cuore le evoluzioni del folk e del blues di matrice
bianca, ma essere la figlia di tale Geoff Muldaur (dobbiamo spiegare forse
il suo pedigree?) ormai non è altro che una piccola nota a margine. Vale
la pena sottolinearlo in occasione del secondo lavoro a nome Clare
and The Reasons, ulteriore passo verso una direzione contraria a qualsiasi
legame affettivo- musicale con il suo passato. Lasciate stare insomma
le radici americane e la tradizione più devota, il contenuto di Arrow
è sofisticato, lussureggiante e morbido come una coperta pop, dove convivono
cori betleasiani, operetta, chansonnier francesi, arrangiamenti orchestrali
in cui lo zampino del mentore Van Dyke Parks (collaborava nell'esordio
The
Move) è stato perfettamente metabolizzato da Olivier Manchon,
marito di Clare ma soprattutto principale animatore dei Reasons.
L'elemento folk non sfugge alla vista certo, ma siamo ben lontani dall'omaggiare
le vecchie strade dell'american music: le ballate di Clare sono piuttosto
figlie di una elegante canzone mittleuropea, di qualche "francesismo"
ostentato (si veda la languida Perdue a Paris),
in cui evidentemente non è ritenuto un peccato mortale mettere alla prova
e dilatare le ispirazioni pop del gruppo, evidenti nella deliziosa Ooh
You Hurt Me So, tra i fiati e l'armonia McCartney-dipendente
di That's All, nell'altrettanto estasiata
Melifera. La comunanza d'intenti
con autori quali Andrew Bird o Sufjan Stevens (presente proprio nel debutto
di due anni fa) si è oggi stemperata, lasciandosi andare ad una propria
visione. A dare manforte a questo percorso Shara Worden dei My
Brightest Diamond, nonchè una serie di collaborazioni esterne - tra cui
membri di National e Beirut - che nel corso dell'ultimo tour hanno visto
affiancare Clare e Olivier.
La coppia ha trovato il suo mondo e non è detto che sia uno dei migliori
possibili, dipende molto dalla vostra disposizione d'animo: se le visioni
incantate sulle prime battute coinvolgono l'ascolto in un fascio di soffuse
e preziose ambientazioni sonore, a lungo andare la formula viene stiracchiata
e portata all'eccesso, rischiando di diventare stucchevole. I sussurri
di Clare Muldaur sono un'arma a doppio taglio che sembra perdersi da qualche
parte fra You Getting Me, This
Is The Story e la citata Perdue a Paris, per non parlare della
retrò Photograph, un tappeto di archi
per un gorgheggio che ha il sapore romantico di una colonna sonora scavata
in qualche memoria perduta. Non si può sostenere però che Arrow non possieda
un certo equilibrio nelle forme e nell'effetto studiato dei suoni, anche
se le atmosfere più notturne e jazzate del precedente The Move si facevano
personalmente amare al primo impatto. (Fabio Cerbone)