inserito 07/09/2009

Deer Tick
Born on Flag Day
[
Partisan  
2009]



Alla faccia dei buoni auspici. Allora, il "deer tick" (alla lettera "zecca del cervo") è un parassita, meglio conosciuto come "zecca dalle gambe nere", che procura la neuroborreliosi, ovverosia un malfunzionamento del sistema nervoso causato, appunto, dall'infezione da batteri. Chiaro, quindi, che se un gruppo decide di chiamarsi proprio così, Deer Tick, lo fa un po' alla David Lynch, cioè per far intravvedere abissi di repellenza, malattia e orrore nascosti dietro una facciata di apparente ordine bucolico. In realtà, di ordinato, nella musica e nel profilo pubblico dei Deer Tick di John Joseph McCauley III (chitarra e voce), Andrew Grant Tobiassen (sei corde solista), Christopher Dale Ryan (basso) e Dennis Michael Ryan (tamburi), tutti originari di Providence, Rhode Island, non c'è poi molto. C'è invece, nelle loro canzoni, un senso di minaccia, segnali nevrotici di un collasso imminente, un sentore di rovina che serpeggia costante: vuoi per la voce acuta, scartavetrata e stridula di chi canta, vuoi per quello che canta (amori perduti e vite marcite, soprattutto), vuoi per il suono - un alt.country ora bucolico ora punkeggiante, sospeso tra strappi e scossoni, quiete e tempesta - dentro cui è incartata la voce.

Ascoltando Born On Flag Day, secondo album della band dopo l'esordio War Elephant di due anni fa, sovvengono i paesaggi operai e desolati di certo Midwest immortalato da John Carpenter, l'incombenza stregonesca dei boschi del Maryland, il New England terrorizzante di HP Lovecraft - non perché si tratti di un disco metal, o dark, o perché nei brani si raccontino storie di zombi o riti leggendari. E' altresì la musica, a distillare tutte queste visioni, una musica che in un caso soltanto (Straight Into A Storm) sceglie di attenersi a un canonico "Buddy Holly incontra l'honky-tonk" (oddìo), mentre nel resto del programma prende Bob Dylan, Hank Williams, Bruce Springsteen, John Prine e Tom Petty per rivestirli di una coltre di inquietudine elettrica, in un susseguirsi di dettagli sorprendenti e in violento contrasto tra loro (penso alla voce angelica di Liz Isenberg, del tutto scollegata da quella di McCauley, in Friday XIII, o alle liriche raggelanti di The Ghost, che usa un buffo e squinternato country-rock per evocare un avvilito paesaggio mentale di solitudine e rassegnazione).

Questo non significa che McCauley e soci non sappiano scrivere un brano nell'accezione più classica del termine: Little White Lies e Song About A Man, per dire, non dispiaceranno affatto a chi ha seguito con trepidazione l'ultima fase della carriera di Conor Oberst, ma è chiaro che il cuore di Born On Flag Day va ricercato nella stravolta cavalcata grungey dell'iniziale Easy (delirante meraviglia tra rintocchi western ed esplosioni punk'n'roll) o nell'incontinenza elettrica del capolavoro Smith Hill, dove sembra di ascoltare gli Smashing Pumpkins di Billy Corgan alle prese con una romanticheria blue-collar. Poco più di trenta minuti in tutto, compresa una Goodnight Irene in chiave di traccia nascosta (e di sicuro realizzata con parecchio alcool in corpo), e niente da buttare. Una manna, per gli assertori dell'essenzialità. Una bella soddisfazione - dico io - anche per chi pensa che il fascino maggiore, in un disco, stia sempre nelle suggestioni che sgusciano tra gli spigoli delle canzoni. Born On Flag Day possiede canzoni e spigoli a sufficienza per farvi incuriosire a lungo
(Gianfranco Callieri)

www.deertickmusic.com
www.partisanrecords.com



<Credits>