inserito 09/11/2009

Jamie Hutchings
His Imagninary Choir
[Nonzero  
2009
]



Grazie ad una scrittura ricca di immaginazione, fra confusioni sentimentali ed una predilezione per quelle relazioni umane che non riescono a trovare una via di comunicazione tra loro, Jamie Hutchings è un altro esempio di come i folksinger australiani riescano spesso ad unire confessioni acustiche e candore pop meglio di molti colleghi americani più blasonati. È una stirpe di cui concretamente fa parte anche un personaggio come Tim Rogers, leader dei You Am I che accostiamo non a caso alla figura di Hutchings. Entrambi infatti vantano carriere parallele e sfoghi in solitario: Hutchings è da tempo al timone dei Bluebottle Kiss, rock band di Sidney che può mostrare un discreto riscontro internazionale (tour di spalla a Beck e Dinosaur Jr fra gli altri) pur senza avere ottenuto quei consensi che difficilmente un gruppo australiano raggiunge fuori dai cofnini nazionali. Quindici anni sulla strada, un contratto con la Murmur, sussidiaria locale della Sony, un doppio album nel 2006 che mostrava l'eclettismo di Hutchings e soci, eppure arriviamo a conoscere quest'ultimo attraverso il suo secondo disco solista, His Imaginary Choir.

Altra vita, altra musica verrebbe da dire, perché Jamie Hutchings si riscopre qui autore dalla vena più stralunata, annullando tentazioni elettriche per abbracciare un folk dai lineamenti lo-fi e con una dolce vena pop che sfiora elementi di psichedelia sixties. Indovinata soprattutto la scelta di avvolgere la coperta acustica formata da chitarre e pianoforte con un coro femminile imbambolato, conciliante, quasi zuccheroso, una trovata ad effetto che rende ancora più stranite le atmosfere di Hurried by Trouble e You Don't Dance, quest'ultima un folk rock nitido che risplende nella melodia disegnata dal piano. Nella ricetta musicale di His Imaginary Choir - disco che fa dell'imperfezione e dei tentennamenti della voce di Hutchings un punto di forza - ricadono anche trame ritmiche un po' esotiche (Indian Ocean Virgin Show) che piacerebbero forse a Devendra Banhart, ballate disadorne e un poco tormentate (il primo "singolo" estratto, Sir I'm Going to have to Ask You To leave), paesaggi rarefatti che coinvolgono persino una pedal steel (Jason Walker) e lontane eco country (Nomads, Montgomery on Central).

La direzione impressa di comune accordo con il produttore Tony Dupe è dunque chiarissima: apparentemente spigolosa la musica di Jamie Hutchings rivela in verità una ricchezza di spunti che va oltre la scarna ambientazione folkie. La potenzialità pop di brani quali After the Flood, la follia un po' psichedelica, quasi beatlesiana di Flamethrower e del finale di Make Me no Sense raccontano di un songwriter più complesso e talentuoso, come peraltro testimoniano le sue stesse liriche. C'è un incanto e una qualità in queste canzoni non così comune.
(Fabio Cerbone)

www.jamiehutchings.com
www.myspace.com/jamiehutchings



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