inserito 09/11/2009

Joshua James
Build Me This
[
Intelligent Noise  2009]



Joshua James esce dall'angolo: potremmo intitolarlo così il nuovo percorso artistico inaugurato con Build Me This, un disco che non rinnega certo la dimensione intima, sussurrata delle sue ballate, eppure sogna in grande e azzarda spesso e volentieri arrangiamenti magniloquenti, sferzando con pianoforti e chitarre l'anima folk della sua scrittura. La faccia è sempre triste, in copertina Joshua si nasconde dietro una "maschera" e guarda incupito da qualche parte dentro il suo cuore: le canzoni peraltro riuniscono una galleria di sentimenti a fior di pelle, dove desiderio di redenzione e senso di sconfitta, amarezza, caducità, raccontano molto del suo modo di fare musica. Lo spazio dunque è aperto alle confessioni e viene naturale pensarlo come un altro esponente di quella progenie di moderni songwriter alle prese con un forte senso di religiosità, non necessariamente ortodossa 8anche se Joshua vive nello Utah, dettaglio di non poco conto), comunque specchio di una sensibilità spirituale, più volte riscontrata in altri colleghi.

D'altronde le immagini di fede abbondano in Build Me This e il tono accorato prevale ancora una volta: lavorando però con più mezzi espressivi e una produzione che ha il senso della grandeur, Joshua james ha rischiato in prima persona, indovinando a volte splendide meraviglie folk, altre invece perdendosi in una beata confusione che deve ancora dire molto sul suo futuro prossimo. Intanto si parte dalla spiazzante e felice oasi gospel rock di Coal War, struggente nei suoi contrasti con una melodia celestiale, esempio riuscito di ripensamento del suo stile. Il ruolo ricoperto da pianoforte e organo di Phil Parlapiano e Peter Bradley Adams, così come dalle saette elettriche di Ben Peeler alle chitarre, pedal e lap steel, simboleggia tuttavia la vera direzione di marcia di Build Me this: disco che non rinnega certo i mormorii acustici del passato in brani quali Weeds e In the Middle, ma sembra davvero gettarsi a capofitto oltre l'ostacolo. Ad esempio attraverso il dark country di Mother Mary e l'acuta lap steel che caratterizza l'epica Black July.

Il salto non finisce nel vuoto, nonostante la percezione sia che Build Me this chieda ad un certo punto troppo alla sua immaginazione, così che dall'enfasi di Kitchen Tile e Daniel fino alla sezione d'archi lussuosa di Benediction la voce di Joshua James si perda un poco nel "caos" generale. Lui forse sta pensando di reinventarsi novello Elton John (Magazine, la più pop e ammiccante della raccolta), ma a tratti potrebbe finire soltanto per essere una copia di Conor Oberst (Wilted Daisies) e questo non fa onore al suo talento: quest'ultimo abbonda, sia chiaro, e non si nasconde neppure in Build me This (basterebbe lo scintillare folk rock dai colori irlandesi di Annabelle), un disco che ha fantasia e idee sopra la media. La prossima volta vorremo solamente che tutto venisse incanalato su binari con una destinazione precisa.
(Fabio Cerbone)

www.joshuajames.tv
www.myspace.com/joshuajamesmusic



<Credits>