inserito 17/06/2009

Austin Lucas
Somebody Loves You
[
Suburban Home records 2009
]



La voce più emozionante uscita dall'oscurità della moderna hillbilly music sembra essere quella di Austin Lucas, un ragazzo con un'immagine improbabile, una fisicità impacciata eppure capace di sprigionare un canto celestiale. Una contraddizione in termini anche solo accostare una musica di chiara ispirazione old time con la stretta contemporaneità, nondimeno ci siamo talmente abituati in questi anni alla riscoperta delle proprie radici culturali da parte di molti giovani autori americani, che forse non sorprende più ritrovarsi faccia a faccia con un songwriter maturato nell'estetica e nel suono punk hardcore e successivamente ritornato all'ovile, fra le braccia di quelle ballate dall'anima folk e dal vestito country che il padre gli aveva insegnato da piccolo. Con Austin Lucas, al secondo atto della sua rinascita roots in Somebody loves You (l'esordio, Putting The Hammer Down, risale a due anni prima), siede proprio il padre Bob Lucas, già nei crediti di diversi dischi di Allison Krauss e qui manipolatore di banjo, fiddle e percussioni, primo scorcio di un ritratto di famiglia che vede coinvolta persino la sorella Chloe Manor ai cori.

Avendo studiato per sei lunghi anni all'Indiana University Children's Choir (Lucas è originario di Bloomington ed oggi risiede a Portland, Oregon), mettendo in scena opere liriche e brani classici, Austin modella la voce con un'intensità che si posiziona esattamente a metà strada fra la "bella maniera" insita nel nobile canto e la passione dovuta a chi interpreta folk song dall'età indefinita. La sorpresa è che si tratta di composizoni tutte originali, seppure suonino come fossero sbucate da un vecchio vinile a 78 giri, da una raccolta di anticaglie dell'american music scoperta per caso da un rigattiere. C'è un senso di mistero e religosità racchiuso in Somebody Loves You, Shoulders, Fountains of Youth, nella solitaria, intensa esecuzione di Resting Place, fra le increspature di un suono disadorno e nonostante tutto assolutamente compiuto e comunicativo: è lo stesso mistero che avvolgeva le voci ancestrali della tradizione, ma senza copiarne il gesto, semmai adattandolo alle speranze, alle paure, ai sogni di un ragazzo di oggi.

Tenerezze acustiche accompagnate dall'onnipresente fiddle del padre, dalla steel di Todd Beene (già con i Lucero e di recente nel disco solista di Ben Nichols), da una spontaneità che rende la produzione immediata, dal vivo, con un sound d'ambiente che si addice alla materia trattata: che sia sbilanciata verso i colori vivaci del già citato lascito musicale hillbilly (Wash my Sins Away, Go West) e persino bluegras (il finale con Farewell, direttamente aggrappato ai fantasmi di Bill Monroe), oppure verso un country pastorale (Singing Man) che si tinge di una malinconia dolcissima e confessionale (She Did, Life I've Got) degna del migliore Bonnie Prince Billy, Austin Lucas ne esce come uno degli assoluti trionfatori del lessico Americana, nell'anno di grazia 2009.
(Fabio Cerbone)

www.austinlucasmusic.com
www.suburbanhomerecords.com

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