Mai fidarsi delle apparenze: Steve Koester e Mark Rozzo sono due ragazzi
di Brooklyn che sognano grandi spazi e cieli californiani, lontano dal
grigio e dal freddo di New York. Dopo qualche stagione passata a farsi
le ossa nelle cantine della scena indie cittadina, passando dai Punchdrunk
ai Champale senza troppi clamori, incrociano un paio di chitarre acustiche,
un painoforte, un armonica e cominciano a pensare di voltare completamente
pagina. Trovati nuovi compagni di avventura nel chitarrista Craig Schoen,
nel bassista Jude Webre e nel batterista Ira Elliot (fuoriusicto dei più
fdamosi Nada Surf), mettono a fuoco la creatura Maplewood, avamposto
del country rock più elegiaco e della west coast più soffice sulle sponde
del fume Hudson. Yeti Boombox, starno titolo per una strana
band, ha il sapore di quello che la critica americana ama definire con
un pizzico di fantasia "canyon folk rock", diciamo più semplicemente un
ripasso del mito californiano secondo le declinazioni di CSN, Byrds, persino
i più fortunati e poppettari Eagles e America. Non è un caso fortuito
che proprio Gerry Beckley degli America sia passato in studio a
dare manforte ai Maplewood, oggi al secondo lavoro pubblicato anche in
europa per la tedesca Tapete.
Suoni, suggetsioni, morbidezze sono assai simili, anche se i Maplewood
conservano una tempra roots più spiccata e meno smancerie pop: in ogni
caso dare il via con una canzone quale Moonboot
Canyon, evocando inverni e neve mentre voci, chitarre e steel
echeggiano altre lande è comunque una dimostrazione di coraggio. Nel complesso
tuttavia Yety Boombox non è certo opera eccentrica, tanto che ci si aspetta
esattamente il rincorrersi fra elettrico e acustico di Embraceable,
i saliscendi di Over Hills and Down
the Hollows, le carezze di North Shore
Baby e Dust, quest'ultima
fra le più ammiccanti e potenzialmente melodiche del disco. L'intera impalcatura
si regge pericolosamente su questa dolce malinconia, una fotografia scattata
alla metà degli anni '70 e li cristallizzata definitivamente.
Nulla di male, se non fosse che per i sentieri desertici di Long
White Ride, per la morbida psichedelia di Desert
Fathers e The Last Yeti
(David Crosby ringrazia sentitamente) sembrano esserci passati altri colleghi
e con un senso di devozione verso il passato forse un po' meno calligrafico.
Insomma, un solo disco dei Jayhawks, o meglio ancora il più recente Gary
Louris solista o ancora il duo degli Autumn Defense, costola dei Wilco
con John Stirratt, sembrano davvero mangiarsi a colazione i Maplewood
con l'intero yeti che si portano appresso. Il mondo musicale che fantasticano
in Daughters of the Empire è assai
simile, non è detto che sia un surrogato irricevibile, ma certamente ne
abbiamo assaggiato il gusto più volte e con esiti meno scontati. Competenti
ma un poco didascalici.
(Fabio Cerbone)