inserito 22/01/2010

Grant Lee Phillips
Little Moon
[
Yep Roc/ Audioglobe 
2009]



Deve aver fatto bene, a Grant-Lee Phillips, l'esperienza di "menestrello" televisivo nel serial Una mamma per amica (Gilmore Girls, USA, 2000-2007), dove gli era affidato il compito di commentare, sottolineare o ironizzare sui contenuti delle puntate tramite canzoni (sue o altrui) affrontate col tono salace del troubadour che, aggirandosi chitarra a tracolla per le vie del paese, ha finito col saperla lunga sulle cose della vita. Lo avrà perlomeno aiutato a recuperare il senso artistico di un'avventura musicale che, dopo le propaggini tardo-Paisley degli Shiva Burlesque e la meteora luminosissima dei Grant Lee Buffalo, sembrava essersi attorcigliata in una serie di album mai del tutto sbagliati ma nemmeno troppo convincenti. Dalle ballate acustiche di Ladies Love Oracle (2000) alle soluzioni sintetiche di Mobilize ('01) e dal raccoglimento rootsy di Virginia Creeper ('04, il migliore del lotto) al vistoso calo d'ispirazione di Strangelet ('07), passando per le cover irrisolte dell'inutile Nineeteneighties ('06), Phillips ha vagabondato tra generi e progetti manifestando un affanno costante, quasi condannato a esplorare tante strade diverse senza mai trovare quella definitiva. L'artista che ha consegnato alle stampe Little Moon, invece, si è sbarazzato dell'idea di racchiudere le mille deviazioni del proprio talento in un contenitore omogeneo, sicché l'album, essendo costruito su tante illuminazioni e spunti di estrazione a dir poco variegata suona sì felicemente discorde, ma anche, al tempo stesso, risolto, efficace e persuasivo come mai prima d'ora.

Buried Treasure, un tenebroso folk d'altri tempi che ricorda i REM del periodo Reckoning, e Strangest Thing, formidabile strizzata d'occhio al mainstream rockista e solenne che fu dei Grant Lee Buffalo (rispetto ai quali perde per strada qualche scarica di elettricità per guadagnare in verve psichedelica), sono due tra i pezzi migliori che il Phillips solista o bandleader abbia composto, e nondimeno, il pop da camera di una It Ain't The Same Old Cold War Harry che omaggia contemporaneamente Bob Dylan e Frank Sinatra, il rutilante folk-rock dell'iniziale Good Morning Happiness o gli scossoni melodici della frizzante Seal It With A Kiss, laddove posti a confronto con la doppietta poc'anzi citata, non sfigurano affatto. Potrebbero invece non piacere, agli appassionati di roots-music in senso stretto, i tromboni swing della stralunata, bandistica The Sun Shines On Jupiter o gli archi che appaiono nella maggior parte di queste canzoni, anche (è il caso di Nightbirds e Older Now, peraltro bellissime) in quelle dagli arrangiamenti più scarni.

Ma si sarà anche capito che costoro, casomai non riuscissero ad accontentarsi del drumming strepitoso di Jay Bellerose (un vero istrione del nascondimento, se mi passate il termine), farebbero meglio a prendere i dischi del Phillips odierno con la dovuta cautela. Per quanto mi riguarda, i dodici brani di Little Moon e il loro confabulare sognante e favolistico di viole e uccelli notturni, di segreti nascosti e piccole storie raccontate dal vento, riconciliano con la grandezza sregolata di uno storyteller la cui vena temevo definitivamente appannata. I nostalgici dei Grant Lee Buffalo continueranno a vagheggiare un passato irripetibile, ma per tutti gli altri, soprattutto per chi, magari faticosamente, ha imparato ad adeguare i propri sogni alla realtà, ce n'è abbastanza per innamorarsi un'altra volta ancora.
(Gianfranco Callieri)

www.grantleephillips.com
www.yeproc.com



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