inserito 16/12/2009

Mark Stuart and The Bastard Sons
Bend in the Road
[
Dualtone  2009
]



Esordio solista, o forse dovremmo dire quarto disco di studio, per Mark Stuart, che non ha tagliato del tutto i ponti con il suo passato. I Bastard Sons spiccano ancora nel titolo, mentre Johnny Cash è rimasto in soffitta, ma poco male, è stato sostituito da un fuorilegge se possibile ancora più pericoloso, Billy Joe Shaver, del quale Stuart riprende il classico I'm Just an Old Chunk of Coal. La canzone apre simbolicamente Bend in the Road: non è infatti un caso fortuito che il nostro protagonosta abbia scelto un campione del country texano per benedire il trasferimento dalla natia West Coast ad Austin, luogo in cui il disco in questione è stato in parte concepito e dove Mark Stuart ha ripreso i fili della sua carriera. Messi in disparte gli effettivi Bastard Sons of Johnny Cash, dopola maturità toccata con Mile Markers, il cuore batte ancora per la strada, per l'amore, per i sogni, insomma il solito apprezzabile, indistruttibile campionario dell'american music che più smuove le nostre simpatie.

E se avete in serbo qualche cartuccia per un roots rock che sappia cogliere tutti i differenti caratteri della tradizione, allora Bend in the road non vi deluderà neppure per il suo contenuto strettamente musicale, qualcosa che si avvicina come pochi altri dischi del 2009 al concetto di Americana. Mark Stuart ha la sensibilità e la preparazione per affrontare un simile compito: non si spiegherebbero altrimenti le colorazioni bluegrass di Restless, Ramblin', Man e in generale le tonalità acustiche e rootsy della stessa I'm Just an Old Chunk of Coal, entrambe a spartirsi la scena fianco a fianco con il rutilare elettrico di When Love Comes a Callin' e di una Power of a Woman che macina boogie e calore rock'n'roll come se i Blasters fossero ancora in attività. Nessuna regola stravolta, solo canzoni rotonde e appassionate, con il talento artigianale di riuscire a saltare di stile in stile senza perdere un briciolo di convinzione. Merito anche dei musicisti certo, tra cui le ospitate del basso di Taras Prodaniuk e dell'accordion di Phil Parlapiano (sentitelo nell'affettuosa carezza dal border di Lonestar, Lovestruck, Blues) e molti chitarristi al servizio della causa.

C'è bisogno di gente come Mark Stuart, se non altro per non perdere, quel tanto che basta, il contatto con il senso più puro e sincero del fare country music con sentimento. Fanno al caso nostro l'epica di Gone Like a Raven fra pedal steel (Jd Mannes) e chitarre riverberate, la sterzata honky tonk di Seven Miles to Memphis (e tanti saluti a Chuck Berry) e la tappa sudista di Everything's Goin' My Way (una slide e un granello di Little Feat fra le note), e infine quel respiro stradaiolo che non ti togli di dosso se sei un musicista cresciuto dentro una precisa mitologia rock (Fireflies ma soprattutto Way Down the Road, che sfoggia uno svolazzante organo). Il compito svolto di comune accordo con Alan Mirikitani ha ripagato Mark Stuart degli anni spesi ad onorare il nome di Johnny Cash. Ne andrebbe fiero anche lui.
(Fabio Cerbone)

www.markstuartmusic.com
www.myspace.com/msbs178



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