Quando sento un disco come questo Creature Of Habit dell'australiano
Carus Thompson mi vien quasi la nostalgia dei tempi in cui simili
piccole opere di cantautorato leggero ed acustico si trovavano con il
lanternino. La rarità infatti rende preziosi, e sottolinea i meriti oltremisura
magari, ma dall'altra parte spiace che queste dieci brevi canzoni si debbano
inevitabilmente perdere nell'iper-produttività del mercato indipendente
di questi anni. Potremmo aiutare Carus affibiandogli un bell'8 e consigliando
il suo secondo album solista ai quattro venti, ma non saremmo vicini alla
realtà di una raccolta di semplici folk-songs, che non chiedono molto
di più che farsi apprezzare senza troppi clamori. Carus Thompson non è
un novellino, negli ultimi anni ha calcato i palchi australiani come Carus
& The True Believers, gruppo con il quale ha già prodotto due album (Long
Nights Are Gone del 2004 e Three Boxes nel 2007). Nelle note di copertina
è lui stesso a battezzare Creature Of Habit come la sua prima produzione
importante, sebbene licenziata sempre per via indipendente, visto che
il suo primo disco (Songs From Martin St. del 2003) era ancora un guazzabuglio
di stili (si arriva al reggae e al funky) poco in linea con la sua vera
natura da singer-songwriter.
Qui le cose sono fatte effettivamente come si deve, anche grazie all'apporto
di collaboratori esperti come il produttore Greg Arnold (leader
della aussie-rock-band Things Of Stone And Wood, molto popolari in patria
negli anni 90), che s'inventa nella title track o On
My Way dei deliziosi accompagnamenti di fiati in stile pop
anni 60 che rappresentano l'unico lusso stilistico del disco. Per il resto
Thompson rispolvera l'immaginario dell'hobo solitario che si guadagna
le birre con canzoni che raccontano storie drammatiche di minori allo
sbando (For The Rest Of My Life),
momenti di sofferta poesia, spiccia ma quanto mai efficace, come quella
usata per raccontare il bruciore di un fallimento (Burn)
o in genere tante storie di amori impossibili o problematici (Doing
Time inizia con il disilluso verso "ecco l'ennesima relazione
che aspetta solo che le cose vadano meglio, chiedendosi se e quando te
ne andrai…").
Equamente diviso tra momenti interessanti e qualche episodio di maniera
- se non proprio di mero mestiere come I Found
Love e Long Time, Creature
Of Habit termina in crescendo con i due brani migliori, l'accorata Your
Eyes Is Bleeding e il tour de force lirico di Prisoners
Of The Rodeo. Non basta per cambiare le sorti della musica
di questo millennio, ma è più che sufficiente per non avere voglia di
finire in fretta la birra. (Nicola Gervasini)