The
Unthanks
Here's the Tender Coming
[Rough
Trade 2009]
Non avrei mai immaginato che in questi anni 2000 (ormai più che inoltrati)
saremmo stati ancora a disquisire di certo folk inglese come di una nuova
elettrizzante novità. Eppure il genere sembra attraversare una nuova fase
di creativa vitalità, e quel che sembra ancora più incredibile, riscuote
pure interesse anche tra le giovani generazioni. Se voi foste dei produttori
discografici, quanto scommettereste su un disco di un duo vocale femminile
di stampo classico come le Unthanks, due sorelle che sulla carta
potevano al massimo far venire qualche nostalgica mania di riesumazione
dei vecchi dischi di Kate & Anna McGarrigle (il nome di Kate oggi sembra
essere noto solo in quanto madre di cotanto Rufus Wainwright), o, scendendo
ancor più nei meandri del genere, delle divine June Tabor e Maddy Prior?
Domanda retorica, se non si era capito, eppure già il disco precedente
(The Bairns, licenziato sotto il nome di Rachel Unthank & The Winterset)
era riuscito a oltrepassare le barriere di genere e aveva riscosso parecchi
consensi, e ancora meglio sta andando questo Here's The Tender Coming,
che espande gli orizzonti stilistici del duo passando da un suono prettamente
pianistico ad uno decisamente orchestrale.
Ascoltando queste canzoni sembra quasi di fare un viaggio nel tempo, in
un'era musicale in cui in Inghilterra le sperimentazioni del progressive
incontravano la tradizione, per cui si potrebbero citare i Fairport Convention,
ma si potrebbe anche andare oltre, perché qui le sorelle Rachel e Becky
Unthank non hanno avuto paura di osare e esagerare, imbastendo 54 minuti
di traditionals per due voci sorretti da archi, fiati e nuovi barocchismi
alla Joanna Newsom, per un risultato finale che continua comunque ad essere
estremamente ligio alle ferree regole del brit-folk. Siete avvertiti dunque,
avvicinatevi a questo disco solo se siete già predisposti ad un certo
suono, ad ascoltare gli otto minuti di Annachie
Gordon facendovi prendere dalla melodia e dalla lunga romanza
raccontata da questa storia popolare, senza fretta di trovare per forza
spunti di genio o di novità. Tanto quelli arrivano comunque, nei coraggiosi
e riusciti arrangiamenti di piccoli capolavori come Sad
February e della autografa Lucky Gilchrist,
brani tristi che nascondono tutto il senso nordico della morte come parte
integrante della vita stessa.
Il difetto del disco sta forse nell'eccessiva lunghezza, più che altro
perché la seconda parte fatica a tenere la perfetta tensione creata nella
prima, ma anche affrontare brani come At First
She Starts di un nome storico del folk come Lal Waterson, avvolgendola
in un manto di violini, rappresenta un doveroso laccio con il passato
che le Unthanks non hanno nessuna intenzione di sciogliere. E sapere che
anche questo contribuisce a questo strano nuovo concetto di "modernità"
non può che farmi felice. (Nicola Gervasini)