Vagabond
Opera
The Zeitgeist Beckons
[Vagabond Opera 2009]
Non ci proviamo nemmeno a catalogare questo The Zeitgeist Beckons,
se non come un pasticcio folk tra operetta e musica balcanica, portato
in giro per Stati Uniti ed Europa dai Vagabond Opera, band dal
nome già di per sé esaustivo sulle loro peculiarità. Sono musicisti da
strada, con batterie e percussioni di fortuna, contrabbassi consumati
dall'asfalto e una divisa circense d'ordinanza per tutti i membri maschili,
eccezion fatta per la primadonna Lesley Kernochan, guest-star che
veste i variopinti panni della Diva. La Kernochan è artista attiva anche
in proprio, con singolari album solo vocali (se ascoltate il suo Undulating
del 2006 troverete quello che potrebbe essere un disco di Bobby McFerrin
cantato da Bjork), mentre il leader Eric Stern è un fisarmonicista/pianista
con voce tenorile innamorato della musica dell'est europeo, che non a
caso si ritrova anche nei credits dell'ultima "operetta" dei Decemberists
(The Hazards Of Love).
Proprio alla band di Colin Meloy si può ricondurre lo spirito di questo
disco, che segue uno strampalato libretto da Grand Guignol (il plot è:
nelle catacombe di Parigi uno scienziato pazzo fa rivivere una Golem femmina
e…ecc..ecc..) per unire cover e originali apparentemente inconciliabili
tra loro in ipotetici cinque atti (in verità sono solo tre, perché nel
secondo "non succede nulla di interessante" per farci una canzone, mentre
il quarto è "uguale al terzo, ma all'incontrario"). Trovateci pure echi
di Goran Bregovic, dei Gogol Bordello, sicuramente del Tom Waits di Frank's
Wild Years (anche se qui viene ri-stravolta Tango
'til They're Sore da Rain Dogs), altrimenti noi non siamo in
grado di trovare paragoni nel mondo dell'opera romantica italiana quando
a finire nel calderone sono nientemeno che Giuseppe Verdi (Welcome
To The Opera! riprende la Traviata), la Fedora che Alberto
Colautti scrisse per Umberto Giordano (cantata in italiano traballante
in Chimaeras Be Met), il compositore
russo Dmitrij Šostakovic (Russian Jazz Waltz),
tradizionali bulgari (Bulgar Romani),
e non poteva ovviamente mancare Jacques Brel (nel classico Amsterdam,
un cavallo di battaglia anche del primo David Bowie).
Di tutto questo minestrone la cosa migliore resta la bella performance
della Kernochan nella Milord che fu
di Edith Piaf (che è anche un personaggio della sgangherata storia), mentre
i brani scritti dai vari membri della band finiscono per essere divertenti,
ma in ogni caso funzionali a tenere insieme il concept del disco. Il risultato
è senza mezzi termini un bel casino di stili, che apprezzerete solo se
siete in grado di by-passare lo shock di sentire classiche folk-song cantate
con puro stile tenorile/operistico da Stern. Quello che è certo è che
sullo stesso terreno abbiamo di recente sentito opere più personali (pensiamo
ai francesi Moriarty ad esempio), o teatrini meno confusionari (ad esempio
quello degli inglesi Last Man Standing). (Nicola Gervasini)