inserito 03/06/2009

The Deep Dark Woods
Winter Hours
[
Black Hen/ Rounder
2009]



Suoni, suggestioni, sensibilità musicale ruotano attorno a quelle poche ma inequivocabili intuizioni che ci hanno fatto innamorare di uno stile, di quella scuola di rinnovamento del country rock e della canzone folk d'autore che ha saputo ridare sentimento al lungo cammino compiuto dalla tradizione. I canadesi Deep Dark Woods aggiungono di tasca propria accenti malinconici, invernali e nevosi come il clima generalmente associato ai loro luoghi di provenienza, quella Saskatoon sospesa fra ponti e acque ghiacciate sulle quali le ballate della band sembrano sposarsi in un'unica visione. Non rappresentano alcuna nuova frontiera dell'alternative country i Deep Dark Woods, semplicemente tracciano canzoni di un'eleganza e calore tali che ti accolgono con una miriade di carezze fra steel e violini, imbastendo walzer d'altri tempi, colori tenui tali e quali alla copertina del loro Winter Hours, secondo lavoro per la Black Hen che non poteva davvero scovare titolo migliore.

Abitano infatti le ore più elegiache e assopite del freddo dicembrino queste composizioni, avviluppate in liriche semplici, a volte tentate da un'anima scura e ricca di angoscia, altre invece propense alla leggerezza, in ogni caso attraversate costantemente dal canto al velluto di Ryan Boldt, autore e attore principale dei Deep Dark Woods. Con lui Chris Mason al basso, Lucas Goetz alla batteria e Burke Barlow alle chitarre, quartetto di base che richiama gli spazi d'ombra del country rock contemporaneo, dall'umore uggioso dei Willard Grant Conspiracy evocato nell'iniziale Farewell alla sontuosità di certi Walkabouts invaghiti della southern music (Now I Can Try, As I Roved Out, The Gallows, tutte imperniate su tonalità raccolte e pastose), per ripiegare spesso sugli accenti rurali che furono caratteristica degli albori del genere (nei ricami hillbilly del fiddle di Nancy ricordano i misconosciuti Wagon).

Winter Hours, prodotto da Steve Dawson (cesellatore di suoni e strumentista aggiunto con banjo, ukulele, mellotron e chitarre) negli studi di Vancouver, potrebbe seriamente rappresentare il disco che aprirà le porte degli estimatori, noi per primi, di un linguaggio che meno si complica e più si avvicina al cuore stesso della sua essenza: se il precedente Hang Me, Oh Hang Me li aveva rivelati al pubblico di casa, con una nomination ai locali Western Canadian Music Awards, il nuovo episodio desterà le passioni sopite di chi cerca un luogo intimo e fuori del tempo, dove farsi prendere per mano da una melodia dolcissima (accade nella title track, walzer corale e sussurrato), da un dimenticato traditional del folk inglese (When First into This Country), da qualche scherzoso gioco di specchi con i luoghi più comuni del genere (Polly).

Alla fine però sui Deep Dark Woods non è il caso di passare un colpo di spugna, magari distratto e assente: Winter Hours possiede una grazia d'esecuzione che ha qualcosa in più da offrire rispetto alla media di chi affolla questi paesaggi musicali. Nello specifico si chiamano All the Money I Had Is Gone, quintessenza del suono alt-country fra echi e incanti di acustiche e steel guitar, The Birds on the Bridge, sognante ballata formata dal bassista Chris Mason che culla per sei lunghi minuti, The Sun Never Shines, organo che avvolge in una coperta soul ed epica inquietudine rock che monta fino a invocare lo spirito del più illustre conterraneo Neil Young. Da sole bastano a rendere Winter Hours il disco da mettere nel vosotro personale granaio, in attesa del prossimo autunno musicale.
(Fabio Cerbone)

www.thedeepdarkwoods.com
www.blackhenmusic.com

 


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