Ci sarebbe da tirare le orecchie a miriadi di artisti per come ingarbugliano
le loro discografie di titoli superflui, con l'unico risultato di far
perdere la bussola a chi non è fan dedicato. La lista di esempi è lunghissima,
ma stavolta dietro la lavagna ci mandiamo James Yorkston, nu-folker
che seguiamo con ammirazione, quanto anche col fiatone di chi non sempre
riesce a stare al ritmo delle sue produzioni. Che, a ben guardare, sono
poche e centellinate, se prendiamo gli album veri e propri: quattro in
otto anni, con una buona accoppiata all'esordio (Moving Up Country e Just
Beyond The River), un terzo disco irrisolto e oscuro (The
Year Of The Leopard) e un quarto che ha fatto il botto (When
The Haar Rolls In), divenendo il suo personale capolavoro.
Un percorso normale per un artista ormai maturo, nonché una delle poche
menti rimaste "pensanti" e non solo "suonanti" del brit-folk inglese di
stampo classico. Ma in mezzo James ci ha piazzato una miriade di progetti
a latere, ep, live, raccolte di b-sides (Roaring The Gospel), e ora, immancabile
e puntuale come la morte, arriva anche il cover-album di traditionals,
feticcio senza il quale non bisogna neanche osare definirsi artista moderno.
Folk Songs (un paio di minuti in più a pensare un titolo
meno ovvio no, eh?) viene così licenziato quando ancora non abbiamo finito
di sviscerare gli splendidi meandri del suo disco precedente, e ci costringe
così a riportare in auge la solita trita e ritrita tiritera del "si ascolta
con piacere, ma…", "non che sia brutto, ma..." e "disco solo per fans…",
con l'infelice decisione di non affibbiare il 4 che meriterebbe l'originalità
dell'idea, e nemmeno l'8 di cui tutti questi brani sono più che degni
destinatari. Salomonico 6 dunque per ricordare che il disco è ben suonato
dai Big Eyes Family Players, band che ha all'attivo una propria
produzione di genere fin dal 1990, apporto che comunque non evita qualche
sbadiglio e eccessivi rilassamenti sparsi. E poi per ricordare il repertorio
scelto, tutto incentrato sulle canzoni di pubblico dominio riscoperte
nel periodo del folk-revival di fine anni sessanta, con particolare dedica
all'affascinante figura di Anne Briggs, che qui viene "ripresa" nell'iniziale
Hills Of Greenmoor, in Martinmas
Time e in Thorneymoor Woods,
tutti titoli che si trovano nella sua breve e sempre da riscoprire produzione.
Un secondo intenso pensiero viene rivolto ad un altro dimenticato eroe
come Nic Jones, che qui viene richiamato tramite Rufford
Park Poachers e Little Musgrave,
e così via, con omaggi ad altri idoli di gioventù come Shirley Collins,
Jean Ritchie, Eliza Carthy, Nancy Kerr e svariati paladini di un ritorno
alle radici neanche troppo annacquato dai suoni rock. Folk Songs è un
disco che Yorkston sognava di fare fin dal 2000: serviva a lui, serve
sempre perché è musica di gran valore, ma non servirà molto quando dovremo
ricordarci perché mai lo consideriamo uno degli incontri più significativi
fatti durante i nostri viaggi sulle highways britanniche. (Nicola Gervasini)