inserito 02/04/2010

Anaïs Mitchell
Hadestown
[
Righteous Babe
2010]



Ci vuole una buona dose di incoscienza (e anche qualche idea che vada oltre l'ordinario) per imbastire un'opera folk del tenore di Hadestown, disco più che mai corale sul quale la firma di Anaïs Mitchell appare piuttosto come quella di una direttrice di orchestra, un punto di riferimento artistico attorno al quale costruire una "compagnia" di voci, musicisti e folksinger che la seguano nell'impresa titanica. È veramente un disco sorprendente il nuovo episodio della cantautrice del Vermont per la Righteous Babe, l'etichetta della sua indiscussa madrina Ani Di Franco, a suo tempo rapita da Hymns for the Exiled (2004), tanto da proporre alla Mitchell di entrare a far parte della sua scuderia. Voce stridula, innocenza da bambina e profondità letteraria di una ragazza cresciuta per le strade del mondo, Anais Mitchell mette in scena una tragedia moderna, trasponendo il mito greco di Orfeo e Eurdice nell'America della "Nuova Depressione" e non solo, in un mondo diviso, incomprensibile e corrotto dall'avidità degli speculatori, fra gente sempre più povera. Un obiettivo temerario che approccia il pericoloso universo del concept album, trovando invece una via di fuga nella sua coralità: difficile, come si accennava, ascriverlo ai meriti della sola Mitchell, che si ritaglia il ruolo di Euridice e riunisce una comitiva di artisti per interpretare i singoi ruoli della narrazione, lasciando campo aperto.

Hadestown si trasforma così in un progetto fuori del comune per i nostri tempi: c'è immaginazione, profondità, preparazione lungo un percorso di venti episodi che richiede soprattutto attenzione, disponibilità all'ascolto e alla riflessione. Non è comoda e immediata la sua proposta, ma neppure pedante: i colori folk di Hadestown sono spesso cangianti, caleidoscopici, giocano con la tradizione e mischiano le facce dell'american music sporcandosi le mani con i linguaggi del pop più sofisticato, del country, del jazz, persino trascinato fra musical (Doubt Comes In) e fantasie vaudeville, ragtime e dixieland (Way Down Hadestown, When the Chips Are Down, Our Lady of the Underground). Concepita originariamente nel 2006 insieme al direttore Ben t. Matchstick e all'arrangiatore Michael Chorney, messa in scena l'anno successivo con un cast di attori locali per un tour partito dal Vermont e poi lungo tutto il New England, Hadestown ha subito nel corso del tempo una rivistazione da parte della stessa Mitchell: alcune canzoni sono state corrette e riscritte fino a trovare la chiave per rileggere il mito nella modernità. Nell'originale leggenda Orfeo viaggia nel mondo dell'oltretomba, dominato dal Dio Ade e dalla moglie Persefone, per ritrovare l'amata musa Euridice, uccisa dal morso di un serpente. Il viaggio lo metterà alla prova, costringendolo ad un patto con Ade: dovrà uscire dagli Inferi senza mai voltarsi indietro per scorgere il volto di Euridice, ma l'accordo sarà irrimediabilmente rotto.

Oggi Hadestown è invece una cittadina attraversata dalle tempeste della crisi economica e dalle ingiustizie del mondo, che cerca in tutti i modi di "chiudersi" e "proteggersi": Greg Brown interpreta un Ade minaccioso (sentitelo rantolare dall'oscurità in Hey, Little Songbird e nella strepitosa Why We Build the Wall), a capo di una compagnia di costruzioni impegnata nell'erigere un muro (reale e immaginario) per scacciare la povertà; Ani Di Franco è la moglie Persefone, più malleabile e affascinata dal canto di Orfeo (un Justin Vernon aka Bon Iver che rapisce con la sua fragilità indie folk, soprattutto nei due episodi di Epic), accompagnato infine dall'amico Hermes (Ben Knox Miller dei The Low Anthem). Un cast di partecipanti (a cui si aggiungono gruppi vocali in diverse declinazioni e musicisti quali Rich Hinman, Brandon Seabrook, Jonathan Goldberger e il citato Michael Chorney) che riesce nel miracolo di mantenere l'equilibrio fra contenuto musicale e significato allegorico: merito di una Mitchell-Euridice sognante e candida - dall'afflato di Wedding Song e Flowers (Eurydice's Song) alla chiusura sussurrata con I Raise My Cup to Him - nella sua interpretazione.
Tra i dischi più "imprudenti" eppure meno pretenziosi sentiti di recente.
(Fabio Cerbone)


www.anaismitchell.com
www.myspace.com/anaismitchell



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