Zoe
Muth and The Lost High Rollers
Zoe Muth and The Lost High Rollers
[Zoe
Muth 2009]
"Our Own Emmylou" ha scritto qualcuno sulle pagine locali di Seattle e dintorni,
e qualcosa di vero ci deve essere: Zoe Muth arriva dallo stato di Washington
ma trascina pigramente il suo accento manco fosse una ragazza nata nel profondo
sud o una texana appena giunta con la valigia di cartone alla stazione, fra la
pioggia e il grande freddo del nord. Infelice copertina a parte (uno strano miscuglio
di paesaggi country&western e "pop art" di dubbio gusto), questa nuova
voce del country più adamantino e rurale ha un conto aperto con la storia del
genere e non solo con la citata Emmylou Harris. La grazia e il portamento di questo
omonimo esordio in compagnia dei Lost High Rollers può anche ricordare
i primi passi della musa di Nashville per eccellenza, anche se la citata cadenza
sudista e quello strascico un po' troppo campagnolo fanno piuttosto pensare alla
prima Lucinda Williams, quella vagabonda del country blues, oppure alla mai dimenticata
Iris Dement.
Di fatto Zoe Mouth and The Lost High Rollers è
un debutto che lenirà la nostalgia di chi cerca sincerità e purezza nel genere,
ovvero sia la ricetta migliore per esaltare queste storie da anime ferite. La
giovane Zoe scrive con il cuore in mano, sfoggia la durezza e l'autenticità di
una veterana (e taluni giustamente scomodano anche Dolly Parton), per questo fa
ancora più colpo: ecco allora la sequenza di You Only
Believe Me when I'm Lying e I Used to Call
My Heart a Home, una sorta di romanzo in forma di "heartbreaking
song", quasi che la nostra Zoe si immaginasse come un George Jones in gonnella
ad asciugarsi le lacrime in fondo al bancone del bar. Certo, la ragazza ha campo
aperto grazie all'onnipresente pedal steel di Dave Harmonson (anche dobro
e chitarre) e al mandolino di Ethan Lawton, ondeggiando in adorazione sul corpo
di quel folclore country che traccia una strada alternativa da Nashville al Texas,
passando attraverso l'anima dell'America rurale.
Tracce di bluegrass
e old time si fondono con l'accento twang delle chitarre: i piccoli prodigi di
questo matrimonio si chiamano Hey Little Darlin' e
Such True Love, mentre Middle
of Nowhere ciondola sulle note di un honky tonk da manuale e Not
You aizza un ritmo più spigliato da sala da ballo al sabato sera. L'altra
faccia dell'autrice è rappresentata naturalmente da walzer malinconici (The
Last Bus), scarne ballate acustiche (My Old
Friend, Never Be Fooled Again,
che tira in ballo Hank Williams) e bozzetti di roots music di tale stretta osservanza
che non ha neppure senso chiedersi se Zoe Muth ci crede o ci fa: la sua fede stilitica
in Hard Luck Love (l'accordion di Johnny Bregar
vola verso il border) è una prova più che sufficiente per promuoverla a pieni
voti fre le nuove cantrici della nostalgia Americana. (Fabio Cerbone)