inserito 19/04/2010

Lee Harvey Osmond
A Quiet Evil
[
Latent Rec.  2010
]



Nel nome (e ancor più nel titolo del disco) si cela qualcosa di sinistro, una doppiezza, un'immagine ambigua che sta alla base della musica stessa di Lee Harvey Osmond, non un nuovo songwriter bensì un collettivo di musicisti canadesi con cui più volte abbiamo incrociato le nostre passioni. Da una parte la voce sussurrata, il talkin' affabile e sensuale di Tom Wilson (Junkhouse, Blackie and the Rodeo Kings), dall'altra il cuore dei Cowboy junkies con i fratelli Margo (diversi camei vocali e uno spledido duetto in scaletta) e Micheal Timmins, quest'ultimo chiamato ad agitare la acque chete di A Quiet Evil con gli inserti in odore di psichedelia delle sue chitarre. Sono i protagonisti più vistosi, perché in verità Lee Harvey Osmond si trasforma un cantiere aperto, arrivando a diciasette attori più o meno principali (tra i tanti ci sono Colin Linden al dobro, Peter Timmins alla batteria, l'ottimo Aaron Goldstein alla pedal steel), mai così timidi, fin quasi nascosti dietro le note di un disco che fa esattamente della sottrazione, dell'intimità, della ricerca del groove e del suono rarefatto una sua regola ferrea. Stando di casa i Cowboy Junkies non dovremmo sorprenderci più di tanto di questa formula, anche se la loro presenza è piuttosto una suggestione, poiché Tom Wilson sembra prevalere fra i chiaroscuri di A Quiet Evil come vero mattattore di un disco sorprendente.

Pubblicato quasi in sordina a livello indipendente lo scorso anno per la Latent dei fratelli Timmins, l'album approda questa primavera ad una giustificata distribuzione europea: una gestazione lunga due anni (le registrazioni risalgono al 2008) che porta allo scoperto un progetto affascinante, un arricchimento del viaggio sonoro più volte affrontato da questi musicisti. La chiusura con una potente, acida versione di I Can't Stand It dei Velvet Underground idealmente si ricollega a quella indimenticata Sweet Jane che svettava in Trinity Sessions. Soltanto un richiamo, forse un gioco, perché il magnetismo di A Queit Evil risiede tutto nelle sue cadenze un po' "malate", in testi che sembrano affrontare con malizia, quasi con lascivia il folle mondo che ci circonda: Lee Harvey Oswald (quello vero) è dietro l'angolo in Parkland; Blade of Glass tira in ballo un altro assassinio mentre le voci della band sembrano volerci tranquillizzare, una carezza prima della morte. Lucifer's Blues appunto, come narra Tom Wilson nella cover di David Wiffen, un groviglio di bisbigli e percussioni.

A Quiet Evil si muove su questo doppio binario di carnalità e eterea sospensione, mettendo insieme acid folk e contagiosa soul music (Cuckoo's Nest), rock dalle tinte desertiche (The Love of One pare uscire da una session perduta in quel di Tucson con i Calexico), psichedelia morbida e flessuosa (la citata Blade of Glass) e ballate che allentano le briglie sciogliendo il country in un mare di nostalgia e torpore (la splendida I'm Going to Stay That Way in coppia con Margo Timmins, la marcetta irresistibile di Queen Bee). Un disco in fondo scarno e semplce che sfodera stile, immaginazione e contenuto al tempo stesso, e che insegna come gettarsi sul corpo della tradizione catturandone in qualche modo i misteri fra le estremità e i ritmi della wilderness americana.
(Fabio Cerbone)

www.latentrecordings.com/leeharveyosmond
www.myspace.com/lhosmond



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