inserito 19/05/2010

Titus Andronicus
The Monitor
[XL Recordings
 2010
]



Eccoci qua, a raccontare un disco già chiacchieratissimo e forse incompreso. Anche da noi, certo. The Monitor è un'opera che nasce per essere compresa (nel senso di abbracciata, assimilata) non senza sforzo: tanta la carne al fuoco, esito di un'attitudine orgogliosamente "larger than life". La scelta del tema, innanzi tutto: la guerra civile americana, in realtà mai finita (è questa la tesi: "the enemy is everywhere"), con tanto di citazioni storiche a cucire le varie parti. Poi, la durata e l'articolazione delle canzoni: alcune sono vere e proprie mini-suite o sceneggiature astratte senza un vero centro di equilibrio. E ancora, la pletora di comparse: nomi - membri di Hold Steady, Deer Tick, Felice Brothers tra gli altri - importanti anche solo come dichiarazione d'appartenenza. A un mondo, a una scena, a un fronte comune. Dopo che il primo disco autoprodotto ha spinto la XL a reclutarli in scuderia, i Titus Andronicus rispondono allo stress dell'opera seconda moltiplicando le ambizioni, gettando le cautele alle ortiche e mandando l'ispirazione a pascolare libera.

Impossibile non scorgere un po' di supponenza dietro questo gigantismo di intenti - non bastasse avere rubato il nome a Shakespeare - ed è vero, come tanti si sono affrettati a evidenziare, che la resa finale non è senza difetti ma, come è inutile guardare un dipinto divisionista da vicino - vedremmo un affastellarsi di pennellate confuse - così questo disco va giudicato per l'effetto d'insieme, non per le singole parti. E' un blocco di roccia scolpito anche da martellate un po' sghembe ma, facendo un passo indietro per osservarlo nella sua interezza, mostra la sua densità di senso. E ogni cosa trova il suo posto: il punk sposato alle cornamuse, l'angst transgenerazionale di chi pensa che "after ten thousand years it's still us against them", il wall of sound da cui emergono canti ubriachi, piani scordati e profumi celtici. I Social Distortion che incontrano i Pogues.

E dietro l'intellettualismo da college (i ragazzi non nascondono di avere letto qualche libro: buon per loro, ma non ce ne potrebbe importare di meno), dietro un nichilismo che non è certo di prima mano ("All I want for Christmas is no feelings, no feelings now and never again"), non sfugge l'urgenza liberatoria da "città piena di perdenti" che lascia allo scoperto i due riferimenti a Springsteen (vengono dal New Jersey, dopotutto) che aprono e chiudono il disco(rso): "'cause tramps like us, baby we were born to die" sputa Patrick Stickles in A More Perfect Union, per poi confessare in The Battle of Hampton Roads, "I've destroyed everything that wouldn't make me more like Bruce Springsteen". Una spallata data con lucida rabbia, insomma. Il muro contro cui sbattono queste canzoni è lo stesso su cui urtavano le chitarre di Hüsker Dü e Replacements più di vent'anni fa e, prima ancora, il no future dei Pistols e l'immorale urlo primordiale di Iggy Pop ("You ain't never been no virgin, kid, you were fucked from the start", si sente in A Pot in Wich to Piss). Dopo un decennio e più di malinconici esteti che quel muro l'hanno scrutato e cantato dalla loro stanzetta, c'era bisogno di qualcuno che tornasse a urlare in strada.

Come ci ha detto un amico, questo disco è una bomba. Lasciate che vi scoppi tra le mani, senza paura. Non rischiate certo di farvi male, solo di svegliarvi dal torpore.
(Yuri Susanna)

www.titusandronicus.net
xlrecordings.com



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