Ryan
Adams & The Cardinals III/ IV
[Pax Am records
2010]
Quale è la natura ultima del suono dei Cardinals, la band con la quale Ryan
Adams ha indubbiamente stabilito uno dei più forti legami artististi del dopo
Whiskeytown? Anche a suo dire, con dichiarazioni e attestati di affetto più volte
ribaditi, il sodalizio si è svolto all'insegna di un reciproco ascendente, nutrendo
canzoni e soprattutto dando forma ad una serie di dischi che hanno tracciato l'intero
arco della poetica rock di Adams. Trovare nel cassetto ventuno composizioni risalenti
all'epoca delle sessioni di Easy
Tigers sembra quasi una provocazione, per ingrossare quella discografia
già così abbondante con cui Ryan Adams ha letteralmente spezzato e confuso la
sua sua carriera. Eppure - se non fossimo costretti a pensare ad un semplice diversivo
per tenere buoni i numerosi sostenitori, orfani di un nuovo lavoro - ci deve essere
qualcosa nascosto dentro queste registrazioni che lo ha convinto a ribadire tale
rapporto artistico, dopo che in fondo lo stesso Cardinology ne aveva decantato
le lodi.
Semplicemente intitolati III e IV,
paragrafi di una produzione assai più ampia, i due dischi di outtakes sono lontani
in verità dal cuore dei Cardinals così come li abbiamo lodati in Cold Roses o
Jacksonville City Nights, persino nell'ep Folllow the Lights e in parte nello
stesso Easy Tiger. Se quest'ultimo soffriva di una sorta di auto-citazionismo,
di un continuo rivolgersi su se stesso, facendo il verso ad atmsofere e melodie
già espresse con più convinzione, III e IV assomigliano piuttosto ad uno scherzo
estemporaneo dove l'aria sbarazzina e spaccona di Rock'n'Roll, il controverso
album del 2003, riprende pieno possesso della scrittura di Adams, ovviamente aggiornandola
con la sensibilità di musicisti diversi. La sostanza però è la stessa che usciva
anche dai solchi di un singolo quale Magick, presente nel precedente Cardinology:
una sequenza di riff e ganci elettrici, di sbruffonate fra echi lontani di new
wave e rock da radio anni 80, dove Ryan Adams infila ricordi adolescenziali, svenevolezze
e pensieri sparsi, parlando di Ultraviolet Light,
Star Wars, Dear
Candy ecc.
E così il gioco una buona volta si rompe,
trascinandosi in due inutili capitoli che come sempre avrebbero potuto trovare
una sintesi, sfrondando i rami secchi. Trattandosi di inediti e scarti non concepiti
inzialmente per la publicazione, si può ben contestare il dato e lasciare fluire
l'intera sequenza, prendendola per quello che offre: molto poco purtroppo, tra
le monocordi sferzate punk di Breakdown into the Resolve
e le aperture pop Stop Playing with My Heart,
un'aria da U2 enfatici riletti secondo un rock facilone con tinte che sfiorano
il suono hard, mettendo in sequenza canzoni davvero brutte (altra definizione
non si trova) come Kisses Start Wars, No,
Icebreakers, e ancora una confusa Numbers,
oppure l'imbarazzante pasticcio di Users,
cedendo vertiginosamente nella seconda parte. Tra molteplici tentativi - purtroppo
riuscitissimi! - di assomigliare ad una pallida riedizione dei Cars di Rick Ocasek,
il sound dei Cardinals cerca disperatamente un appiglio dove ritrovare
la lucida perfezione di un tempo, fra ballata, classic rock e armonia:
The Crystal Skull, Typecast, Death
and Rats, non fossimo sommersi dalla mediocrità del doppio III/IV,
risulterebbero per quello che sono, ovvero sia fiacche imitazioni di quello che
è stato già svelato in passato…così appaiono persino belle canzoni. (Fabio
Cerbone)