inserito 10/02/2011

Kasey Anderson & The Honkies
Heart of a Dog
[
Red River  2011
]



Fino a ieri Kasey Anderson, cantautore dello stato di Washington, era il classico folksinger nè carne né pesce, sempre dignitoso ma mai memorabile, che continuava a licenziare una serie di dischi incapaci di svettare dal mucchio nonostante le cure di uno specialista del calibro di Eric Roscoe Ambel, ex Del Lords. Tra folk e ballate elettriche troppo uguali ad altre il rischio concreto era di abbruttirsi in un limbo esiziale per uno ambizioso e dotato di un discreto talento come lui. Bisognava abbandonare vecchie certezze che cominciavano a creparsi e rimettersi in discussione. Ed ecco che un anno dopo Nowhere Nights, Anderson ha resettato tutto, ha defilato il suo ego (come dimostrato dall’intestazione condivisa del disco) e si è messo nelle mani di una nuova band che lo ha catapultato nel sound rinnovato e potenziato, finalmente convincente, in diversi momenti addirittura esaltante che permea l’album. Infatti se Heart of a Dog (citazione da Bulgakov) risulta uno smash vincente, gran parte del merito va ascritto agli Honkies, jam band costituita ad hoc e lasciata libera di scorazzare nella sala di registrazione come un cavallo imbizzarrito.

Su tutto domina la chitarra pirotecnica di Andrew McKeag (Presidents of the USA, ma anche Long Winters e Supersuckers nel suo curriculum ventennale), uno che, per dirla col cinema, ruba la scena all'attore protagonista, ma non sono da meno il puntuale basso di Eric Corson e il perfetto drumming di Mike Musburger. Non c’è da sorprendersi dunque, che gli Honkies si esaltino davvero nei brani meno controllati come The Wrong Light (un bluesaccio elettrico laido e ipnotico trascinato da un riff memorabile), Mercy (scatenato party stonesiano con spruzzate di funk e incroci pericolosi tra chitarre e fiati nel finale), Sirens and thunder (sfrenato blue collar con organo e feedback che si rincorrono), My Baby is a Wrecking Ball, Revisionist History Blues (sarabanda mirabilmente sgangherata che, tra Dylan e Tom Waits, lancia a tratti addirittura lampi di Paisley Underground), ma soprattutto nell’irresistibile andazzo di Kasey Anderson’s dream (titolo autocelebrativo o omaggio al freewheelin’ Bob Dylan?), sogno che puzza di zolfo, autentica perla lanciata in orbita (pardon, negli inferi) da chitarra e basso che sferragliano sopra e sotto il canto scazzato di Anderson.

Nel solco di un roots scalpitante e comunque ispirato si collocano invece Exit Ghost e la conclusiva Save it for Later, mentre i brani più rallentati, quelli che rimandano maggiormente al Kasey Anderson pre Honkies, finiscono per diventare dei necessari break messi lì per rifiatare tra un baccanale e l’altro. Certo non si tratta di riempitivi nemmeno in questo caso, perché Your Side of Town e My Blues, My Love sono due accorati slow alla Matthew Ryan che non sfigurano affatto in mezzo al ben di dio di cui sopra. Se si tratti di una svolta nella carriera sin qui non luccicante di Kasey Anderson non è dato sapersi e neanche ci interessa più di tanto; per ora Heart of a Dog è già tanta roba, uno di quei sempre più rari dischi in cui il piacere palpabile di chi ha suonato (talvolta in coda ai brani si odono le risate di compiacimento della band, sottolineate dallo stesso Anderson) si specchia nel godimento di chi ascolta. E di godimento in questa bella sorpresa di inizio anno ce n’è parecchio. Garantito.
(Gianuario Rivelli)

www.kaseyanderson.com
www.myspace.com/kaseyanderson



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