inserito 21/07/2011

The Breakers
The Breakers
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Wicked Cool Records  2011
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Adoro la Scandinavia, soprattutto perché si suona ottima musica! Ho amato i fantastici Creeps, o gli scatenati Stomach Mouths, e ancora oggi riascolto con piacere il rock di frontiera dei Wayward Souls. Di recente da quelle terre sono emersi i Siena Root, i Little Barrie e i Big Bang, mancava nei miei files la Danimarca, ed ecco che scopro questi The Breakers. Al primo ascolto faccio un balzo dalla poltrona e me li sparo a palla dallo stereo, un po' per ballare e soprattutto perché la loro freschezza mi eccita tanto da correre sul web per cercare informazioni su questi strepitosi danesi. The Breakers, originari di Copenaghen, sono Toke Nisted (voce), Anders Bruus e Laus Hojbjerg (chitarre e organo), Jackie Larsen (basso) e Thomas Sotlsvig (drums). Incidono per l'etichetta Wicked Cool Records sotto l'ala protettiva di Steven Van Zandt, che produce questo omonimo lavoro scrivendo anche alcune songs. Nati nel 2002 hanno già alle spalle due dischi : "What I Want" (2004) e "Here for a Laugh" (2006), che anticipano, arrotando il tiro con centinaia di concerti in Europa e negli Stati Uniti, questa ultima fatica, che a mio avviso sarà il punto di partenza per una carriera ricca di soddisfazioni.

Il disco parte subito con un brano, che già dal titolo dice tutto, Start The Show, e dato che Little Steven li ha prodotti e fatti incidere a New York, ecco venirmi in mente un gruppo newyorkese, i Fleshtones, che l'avrebbero suonata ad occhi chiusi tanto assomiglia allo stile del loro repertorio. I vicini mi richiamano alla compostezza e soprattutto ad abbassare il volume quando parte The Jerry Lee Symptoms, potente hit single, galoppante, quasi garage rock, molto sixties, irresistibile canzoncina, semplice ma efficace. Cresce la mia eccitazione quando giungo al quarto pezzo Riot Act, basso solido e riff chitarristico che richiama alla memoria tutto il rock americano fine anni sessanta (Young Rascals, Turtles, Standells) ma pure il punk inglese dei maturi Clash. If You Please è la prima ballata del disco di chiara matrice Little Steven, che prende per mano i Breakers quasi per insegnargli come si può essere tosti e trascinanti con tre accordi. Ancora umore metropolitano della grande mela con New York City, fino ad arrivare a Soulfire, altra grande canzone dell'album, colori Motown, ed echi dello sfavillante rhythm'n blues alla Steve Winwood e Chris Farlowe, pezzo radiofonico di potenziale grande presa.

Resto di sasso quando arrivo all' ottavo brano If You Need Someone, pare appena uscita da un riuscitissimo jam meeting con Bruce Springsteen, e sembra cantata da Rod Stewart la bella Baby Blue, che anticipa un'altra perla, Union Street, la perfetta fusione tra un primo poetico Van Morrison e un adrenergico Steve Marriott (ultimo anno Small Faces), con un bel Hammond a ricamo. Ancora vibrazioni r'n'b con Temptations e chiusura con la splendida ballata Forever's A Long Time Gone, che riporta alla memoria l'incedere maestoso degli anni d'oro degli Stones (Let It Bleed-Exile on a Main street). Sarà che la Scandinavia mi influenza comunque positivamente, o che i Breakers hanno avuto l'onore di aprire per Paul Mc Cartney in Hyde Park, ma voglio comunque incensare questi Danesi perché sono bravi, fanno semplice rock di derivazione sixties, ma freschezza, grinta, amore e passione per la propria musica e una produzione di altissimo livello non si trovano dietro l'angolo e non si costruiscono a tavolino. Pochi gruppi, negli ultimi mesi, mi hanno eccitato come The Breakers. Voglio esagerare, ottimo lavoro.
(Silvio Vinci)

www.thebreakers.dk
www.wickedcoolrecords.com


   


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