Old
Californio Sundrunk Angels
[Californio
records/ Burnside
2011]
C'è
aria di California in giro, ce ne siamo accorti. Sono tornati prepotentemente
a galla gli anni Settanta, la West Coast, il folk rock del cosiddetto Laurel Canyon
e allora accade che l'intera nidiata di giovani rock'n'roll band che riprendono
i fili di quella lontana stagione stia offrendo nuova linfa al rapporto con le
radici. Di tutti i piccoli e grandi nomi emersi (dai Fleet Foxes ai Dawes, da
Jesse Sykes a Jonathan Wilson), gli Old Californio fanno la figura degli
autentici outsider: senza uno straccio di contratto, con la loro personale etichetta,
la band di Pasadena si sta pazientemente costruendo un angolo dorato, un rock
delle radici dai morbidi profumi psichedelici e dalle imprevedibili bizze strumentali
che li pone fuori dal chiacchiericcio, ma dentro il cuore del rinnovato spirito
settantesco di cui andiamo parlando.
Sundrunk Angels segue
di due stagioni il già sorprendente Westering
Again e ne espande in chiave elettrica le intuizioni, con un suono
da "cosmic americana" che guarda a certo moderato sperimentalismo figlio dei Wilco,
frutto anche dell'innesto del nuovo chitarrista Woody Aplanalp, guarda caso uno
che vanta collaborazioni nell'enesemble di Nels Cline. Il resto della formazione
vive ancora delle gentili effusioni vocali del leader Rich Dembowski, autore emozionale
e un po' solitario che mette insieme Neil Young e melodia pop, mentre il wurlitzer
e il piano di Levi Nunez sono l'elemento in più per illuminare il repertorio degli
Old Californio. Una band che non disdegna affatto la digressione strumentale anche
fra le mura dello studio: con tre episodi sopra i sei minuti e un paio che sfiorano
i cinque, gli Old Californio continuano a resuscitare certo spirito hippie e jam
confluito negli anni '90, di gruppi quali i dimenticati Mother Hips o gli Spin
Doctors meno funkeggianti, anche se le qualità del songwriting qui appaiono persino
superiori. Lo dimostrano una liquida, impalpabile Sundrunk
Angels, tra le più "westcoastiane" del nuovo album, che evoca passaggi
tra American Beauty e Younger than Yesterday, e ancora i Byrds in veste bucolica
di Better Yet, oppure la ruggine dei Crazy
Horse, un po' addomesticata e resa più armoniosa, in Dark
Yet e Just Matter of Time.
Si
parte dunque da posizioni simili al precedente lavoro, una conferma che rincuora
sulla solidità del quintetto, seppure ci sia qualche naturale ambizione in più
e un groviglio di soluzioni e arrangiamenti che forse rendono meno diretto il
nuovo capitolo. Nulla che tolga, ad esempio a Learn to
Cheat, il suo profumo pop quasi beatlesiano messo al servizio di una
ballata rootsy deliziosa per chitarre e accordion. Più nervosa e spigliata invece
A Cool Place in the Light, con i suoi stop
and go, un rock'n'roll che testimonia la vicinanza ideale degli Old Californio
con la precedente generazione alt-country e quella modestia tipica di una bar
band confusa fra mille. I numeri di Dembowski e compagni tuttavia non sono affatto
qualunque, tali da perdersi con troppi onesti gregari: le spirali ardite di
Allon Camerado e il suo crescendo esplosivo, il country rock incalzante
e la sua improvvisa cacofonia chitarrista (ancora Wilco da qualche parte…) di
Jewels and the Dross fugano ogni dubbio sul
loro talento cristallino. Se solo qualcuno si accorgesse di loro... (Fabio
Cerbone)