inserito 01/07/2011

Dawes
Nothing is Wrong
[
ATO 
2011]



Smessi i panni del progetto Middle Brother, in cui Taylor Goldsmith incontrava spiriti affini e sognava orizzonti comuni con altri giovani autori (John McCauley e Matthew Vasquez, rispetivamente dai Deer Tick e Delta Spirit) alla ricerca del tempo rock perduto, le canzoni migliori finiscono per fortuna nella sacca dei Dawes, principale band di riferimento formata con il giovanissimo fratello Griffen dietro i tamburi della batteria. Nothing is Wrong accresce le quotazioni del gruppo californiano, fra i principali animatori di un ritorno alle visioni folk rock della West Coast, oggi peraltro battezzati dalla presenza non casuale di Jackson Browne, voce aggiunta nel finale della strepitosa cavalcata Fire Away. Idealmente siamo trascinati negli stessi innamoramenti musicali che in queste stagioni hanno generato, non solo sulle sponde della costa del Pacifico, le avventure di Truth and Salvage Co., naturalmente i già citatri Delta Spirit e Deer Tick, così come i campioni del rinascimento "seventies" Fleet Foxes e i più chiacchierati Band of Horses, un pugno di band con personalità distinte ma tutte accomunate da una fresca rilettura del passato che l'acuto critico inglese Simon Reynolds non esiterebbe a definire "Retromania".

Rispetto però alla radice indie rock che sembra popolare le spinte della maggior parte dei musicisti appena menzionati, i Dawes scelgono la via più diretta e semplice, puntado certamente sugli impasti vocali, sulla rinascita del cosiddetto suono del Laurel Canyon, pregando i santini di CS&N, del padre putativo Jackson Browne, ma dando l'impressione che il cuore di Nothing is Wrong sia la bellezza della canzone, la sua disarmante costruzione melodica. Più elettrico e spumeggiante del già prelibato esordio North Hills, ancora visionato dala produzione di Jonathan Wilson, il nuovo lavoro amplifica i ganci pop della scrittura di Taylor Goldsmith, mettendo in comunicazione il tono nostalgico delle storie, i brevi cenni e le confessioni autobiografiche con la speranza insita nelle armonie: nascono così ballate dove gli assoluti protagonisti, piano e chitarra, dialogano tenendo dritta la barra della melodia, portando The Way You Laugh verso una marcetta celestiale con una slide che evoca il migliore David Lindley, oppure chiudendo sulle note languide, tristanzuole di A Little Bit of Everything, altro saggio di tenera West Coast aggiornato al 2011.

Si accennava tuttavia ad una spinta più elettrica, frutto evidentemente dalla passione alimentata sulla strada, forse dal fatto che persino Robbie Robertson (The Band è un altro imprescindbile tassello del suono Dawes) sia stato stregato dei ragazzi, imbarcandoli come backing band dei suoi concerti: da qui sbucano autentici singoli killer quali Time Spent in Los Angeles e If I Wanted Someone, la seconda un country rock rutilante che candida i Dawes tra i più credibili discepoli dei Jayhawks, mentre My Way Back Home ritorna sui passi di una ballata onirica, un folk pop flutuante in cui gioca un ruolo centrale l'organo (c'è anche l'ospite Bemmonth Tench dagli Heartbreakers…e il cerchio sembra davvero chiudersi sulle influenze). C'è ancora tempo per le scintillanti rincorse rootsy di Coming Back to a Man e per l'esplosione "byrdsiana" di How Far We've Come, campo di prova per la vocalità accentuata della band, mai invadente però o tentata da fastidiosi barocchismi. La moderazione e il tono pacato con il quale Taylor Golsmith e compagni provano a conquistarci sono infatti i tratti distintivi di una piccola band che non sembra ambire alla grande impresa: piacciono proprio per questo loro ingenua purezza, forse mascherata dietro un'astuzia da veri sacchegiatori del passato. E se per qualcuno tutto ciò rifletterà un segno di debolezza o di normale semplicità poco importa, a noi pare di avere trovato un'altra piccola oasi di eccellenza nel giovane rock americano.
(Fabio Cerbone)

www.dawestheband.com


   


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