L'anticipazione era avvenuta proprio su queste pagine un anno fa: in occasione
dell'intervista a Patterson Hood per l'uscita di The
Big To Do, l'accenno ad un imminente secondo capitolo, concepito nelle
stesse sessioni di registrazione, aveva chiarito l'incontenibile abbondanza della
band. Detto fatto: Go Go Boots completa il dittico con altri quindici
episodi (che divetano sedici con l'inedito I Hear You Hummin' presente
soltanto nell'edizione in vinile), questa volta a simboleggiare il volto più riflessivo
dei Drive-By truckers. Descritto dallo stesso Hood come una discesa a patti
con l'anima country-soul del gruppo, il disco subisce chiaramente l'influenza
delle recenti collaborazioni con Bettye Lavette e Booker T., anche se declina
le radici sudiste dei DBT secondo una loro personale visione della tradizione
locale. Muscle Shoals dunque, la patria della rivoluzione Stax, Percy Sledge (che
viene citato nell'apripista I Do Believe)
ma anche Dan Penn, Eddie Hinton e Tony Joe White, il country più outlaw e le murder
ballads, tema a cui si riferiscono diversi episodi del disco, fecendone per bocca
degli stessi musicisti una delle loro raccolte più "noir".
Non dubitiamo
dunque delle intenzioni dei Drive By truckers, che d'altronde si sono confermati
più volte come una potente macchina rock'n'roll dal vivo, capace però di abbraciare
le diverse sfumature del songwriting: da questo punto di vista Go Go Boots è certamente
un disco più affascinante del suo predecessore, anche se l'ostinazione con cui
la band prosegue nell'allungare i tempi (sfioriamo ancora i settanta minuti di
musica) e l'inevitabile eccesso di materiale (un disco ogni dodici mesi è uno
sforzo notevole, anche per i più ispirati) tende ancora una volta ad attenuare
gli effetti migliori. Ci sono bozzetti country acustici (Cartoon
Gold, Pulasky) che nelle mani e
nell'ugola ferita di Mike Cooley ottengono pregevoli risultati, mentre Shonna
Trucker sembra per la prima volta finalmente nella parte, intonando una accorata
Where's Eddie (il fantasma di Eddie Hinton
torna anche nella cover-omaggio di Everybody Needs Love)
e soprattutto una Dancin' Ricky che sintetizza
le vibrazioni soul del disco (essenziale come sempre la coppia Jay Gonzalez all'organo
e John Neff alla steel).
A questo armamentario più contenuto e meditativo
del solito (al quale dovremmo aggiungere la marcetta country rock di The
Weakest Man e la tristanzuola The Fireplace
Poker) - cui si accompagnano come sempre personaggi e storie ai margini
americani, caratteri di un Sud visto dal basso con la sensibilità descrittiva
che i Drive By truckers hanno sempre dimostrato - si affiancano quindi rock dai
tempi medi e stridenti ballate elettriche che portano il marchio della ditta,
ma sanno inevitabilmente di una stanca ripetizione. Si salva in parte la coda
con Mercy Buckets e il suo sferragliare chitarristico,
ma soprattutto una sorprendente Used To Be A Cop,
che non solo si agita flessuosa e compiacente grazie ad un inedito ritmo funky,
ma si piglia anche lo scettro di miglior testo dell'intero Go Go Boots. Ora una
frenata in vista di migliori risultati artistici sarebbe auspicabile... (Fabio
Cerbone)