Deadman Take Your Mat and Walk
[Rootsy/
Blue Rose
2011]
Agghindati
in foto come una strana accozzaglia fra pionieri americani e moderni roots rocker
texani, i Deadman sono una delle ultime sensazioni locali del circuito
Americana di Austin. Dovremmo parlare forse di un debutto nel caso di Take
Your Mat and Walk, ma la loro storia è talmente tortuosa che in verità
sarebbe più corretto definirlo una sorta di ripartenza. Innanzi tutto si
tratta di una pubblicazione al momento in esclusiva per il mercato europeo, con
la piccola, agguerrita label norvegese Rootsy (e l'appoggio dell'arcinota Blue
Rose) che anticipa di qualche mese un'uscita discografica prevista sul territorio
americano soltanto nei mesi inoltrati del 2012. In secondo luogo è un album di
studio che segue di qualche settimana un primo assaggio dei Deadman dal vivo,
con il raffazzonato Live at the Saxon Pub, storico locale di Austin nel quale
la band ha svolto le prove generali, offrendo però un'incisione un po' troppo
artigianale e ai confini del bootleg. Terza e più importante annotazione,
Take Your Mat and Walk è quella che le stesse note biografiche definiscono una
sorta di araba fenice, con i Deadman risorti a nuova vita dopo una precedente
carriera interrotta bruscamente a metà anni 2000 e una originaria incarnazione
del gruppo che il leader Steven Collins ha dovuto sciogliere in seguito
alla crisi matrimoniale con la compagna Sherilyn.
La coppia infatti è
stata titolare di Paramour e Our Eternal Ghosts, dischi di un più
umorale e spaziale folk rock supervisionato dal produttore Mark Howard (collaboratore
di Dylan, U2, Lanois) che ha goduto al tempo anche di una distribuzione internazionale
per la One little Indian. I Deadman del 2011 sono tutt'altra creatura: Collins
ha messo nel cassetto non solo una parte consistente della sua vita personale,
ma anche una visione artistica che oggi si è fatta di contro più tradizionalista
e solcata dalla fede nel country rock venato di soul degli anni 70. Sorta di collettivo
aperto a più collaboratori dell'area alternative country texana, tra cui Jaconb
Hildebrand alle chitarre, Matthew Mollica all'organo (già con Chris Brecht) e
Lonnie Trevino al basso (dalla band di Monte Montgomenry), i Deadman toccano i
sei elementi in pianta stabile e allargano persino le sessioni ad una decina di
ospiti, compresa una piccola sezione fiati, che insieme guarniscono il sound "settantesco"
della formazione. Con il palpitare di If I Lay Down in
The River e il docile dondolio di Till the
Morning Comes otteniamo già le coordinate principali di un disco breve,
sincero, familiare nel suo disarmante e quindi apprezzabile debito verso un rock
americano in cui l'eredità di The Band e Byrds, Creedence e Gram Parsons non si
nasconde dietro una presunta nuova frontiera.
I Deadman suonano stringati
(trentacinque minuti come gli lp di una volta e pochi passaggi sprecati), ma sanno
rivedere i classici con freschezza, sulla scia di un rinascimento roots rock che
di recente ha visto allinearsi Dawes, Deer Tick, Old Californio, Blitzen Trapper
e altre formazioni segnalate su queste pagine. Le composizioni di Collins, autore
e direttore d'orchestra della creatura Deadman, hanno un retrogusto soul infallibile,
che la sua interpretazione tiene a bada servendosi delle gradazioni più adatte
di brano in brano. L'impasto vocale è il tratto comune di queste giovani band
e la cristallina gioia che traspare da Don't Do This
o l'agrodolce rock agreste in evidenza con This Old World's
Gonna Change e Gilead ci ricorda
quello che i Jayhawks non sono riusciti a regalarci con l'attesa reunion di quest'anno.
Non sono sperimentatori i Deadman, si sarà capito, e certamente l'idea di tradizione
che ha in testa oggi Steven Collins è più ossequiosa rispetto al suo recente passato:
c'è spazio per qualche brano d'atmosfera (Ain't No Music,
seppure non sia tra le più riuscite), ma la vera anima di Take Your Mat
and Walk è espressa nel soul confessionale di We
All Need Love, un piccolo classico a suo modo, e nella splendida chiusura
della title track, che già ti immagini cantata dalla buon anima di Richard Manuel
con tutti i vecchi compagni della Band al completo. (Fabio Cerbone)