Un'anima divisa in due
quella di Robert Ellis, per uno dei debutti country (e non solo…si capirà
strada facendo) del 2011. A meno di non considerare il suo esordio - The Great
Rearranger - lavoro però del tutto indipendente e soprattutto passato inosservato.
Per il pubblico Americana è dunque Photographs il disco su cui investire
e sul quale anche la New West ha deciso di scommettere, direttamente nella persona
di George Fontaine, presidente dell'etichetta folgorato sulla via del Fitzgerald,
piccolo club di Houston. Da quelle parti, ogni mercoledì notte, il ventiduenne
Robert Ellis ha tenuto in tempi recenti un corso accelerato di country music di
origine controllata: con una band personale (Will Van Horn alla pedal steel, Kelly
Doyle alle chitarre, Geoffrey Muller al basso e Ryan Chavez ai tamburi) ha rinnovato
i fasti del suono "fuorilegge" e romantico, passando in rassegna George Jones,
Hank Williams, Johnny Paycheck, Buck Owens e decine di altre leggende che hanno
fatto da stelle polari al giovane songwriter. Naturale che queste illuminazioni
si siano riflesse in Photographs, senza rinunciare però ad una sensibilità di
folksinger che sui ricami dell'acustica sembra percorerre in lungo e in largo
l'intero arco dei seventies, fra tradizione e west coast, folk rock e suono outlaw.
Ne è nato così un album dalle due facce, stranito, spiazzante, eppure
di un fascino raro. Una sorta di concept, così afferma lo stesso Ellis, sui rapporti
umani e di coppia, che parte dal lato più filosofico, quasi metafisico e certamente
nostalgico di Friends Like Those e Bamboo,
per scivolare gradualmente verso un quadro più vivace e persino ironico. La prima
parte, come anticipato, è acustica, malinconica e spesso solitaria: vengono in
mente il primo James Taylor, ma soprattutto personaggi come Mickey Newbury e Harry
Nilsson, nelle trame per archi della deliziosa Cemetary,
prima di prender strade tortuose con il piano saltellante in Two
cans of Paint. I testi non sono mai banali, anzi, con il dono della
semplicità mettono in fila pensieri profondi, pur sfiorando temi risaputi e universali.
Quando arriva Westbound Train il disco spezza
le catene e annuncia il secondo atto. La canzone fa esattamente da spartiacque:
un'introduzione attendista e intima come le precedenti, la band che entra all'improvviso
e cambia marcia.
Da qui in poi Photographs muta pelle e
si trasforma in uno spettacolare rendevous di country d'annata, con numeri strepitosi
per intensità e qualità del songwriting: Comin' Home
è un honky tonk vorticoso che esalta i numeri della band,
What's In It For me? e I'll Never Give Up
On You è puro distillato di George Jones, compresi i battibecchi con
la consorte e le eccessive bevute, racconto di una disgregazione coniugale. Quando
arriva No Fun siamo nell'ironia più spaccona
e pungente di un marito geloso, roba bollente che mancava dai tempi degli esordi
di Robbie Fulks: nella struttura è un altro country rock al galoppo con pedal
steel e chitarre dal calore twangy che avvolgono. Il capolavoro però è riservato
giustamente al finale: la title track è senza tema di smentite la ballata country
del 2011, un'accorata dichiarazione di amore e tormento che evoca il Gram Parsons
più sentimentale. Robert Ellis ha tutti i numeri per diventare la nuova brezza
Americana che soffia dal Texas. (Fabio Cerbone)