inserito 14/07/2011

Austin Lucas
A New Home in The Old World
[
Last Chance Records  2011
]



Una delle voci country più pure che l'ultima generazione americana potesse regalarci, Austin Lucas torna sul luogo del delitto cambiando pochi significativi dettagli, senza perdere un briciolo dell'appassionante narrazione a cui ci aveva abituati con il sorprendente Somebody Loves You. Dalla fisionomia acustica, tradizionalissima di quel disco passiamo oggi alla costruzione di un suono più elettrico e full band: A New Home In The Old World alza con moderazione i toni, ma come anticipato non svende l'anima antica di questo ragazzo cresicuto nella "rivolta" del punk rock e tornato presto, come un figliol prodigo, nelle braccia di una eredità folk e hillbilly appresa in famiglia. Avevamo già accennato, in occasione del suo precedente lavoro, agli insegnamenti del padre Bob Lucas, strumentista di scuola bluegrass con un discreto curriculum alle spalle, che affiancava il suo ragazzo con orgoglio: oggi Austin si è concesso una gita fuori porta, chiamando alcuni talenti del roots rock locale e non solo, ampliando la squadra con membri di Lucero e Magnolia Electric Co. e chiamando alle rifiniture di studio Paul Mahern, già collaboratore di John Mellencamp. Da un figlio dell'Indiana, che registra il nuovo capitolo a Bloomington, c'era da aspettarselo, anche se l'eco della tradizione in A New Home In The Old World si fa meno "divulgativo" e democratico rispetto al recente Mellencamp.

Qui risuona un raccolto di walzer country, danze hillbilly e ballate folk che mettono insieme passato e presente, sconfinando a volte in un roots rock più vibrante, che torna persino ad evocare la prima stagione degli Uncle Tupelo (sentitevi nel caso Thunder Rail), quando non ad omaggiare in maniera palese uno dei padri di questo suono, Neil Young (il riff di chitarra nella livida The Grain ricorda fin troppo Hey Hey My My…). L'essenza tuttavia non cambia: Lucas ha un viso bonario e tatuaggi da ribelle, ma quando apre la bocca si trasforma in un angelo che riporta la country music alle sue fondamenta, tra mistero, peccati, tribolazioni. Tutto il disco d'altronde è imperniato attorno ad una rilettura della propria gioventù, alla rivisitazione dei propri errori e delle occasioni mancate, per riscrivere la sceneggiatura della vita e ricominciare da capo.

Austin Lucas compie l'operazione con un tono che va dal confessionale alla pura gioia della condivisione dei sentimenti: così i forti accenti rurali e le scatenate danze di Run Around e Darkness Out Of Me si intrecciano alla solitaria leggerezza di Sit Down, alle dolci trame acustiche di Nevada County Line, dimostrazioni di una padronannza dei linguaggi tradizionali che non scade mai nella calligrafia fine a se stessa. La sezione ritmica, come prevedibile, è adesso spostata in primo piano, nonostante resti improbabile confondere A New Home In The Old World con un disco di rock'n'roll: fatte le dovute eccezioni (i due episodi ricordati più sopra), rimane infatti centrale il gioco di strumenti quali fiddle e banjo, che alimentano il sacro fuoco di Sleep Well e Feast, fino a chiamare a raccolta i fiati nella commovante chiusura di Somewhere A Light Shines, li dove il cuore bianco e nero si intrecciano e una fragranza country soul riporta alla mente la lezione di The Band. Splendida conferma.
(Fabio Cerbone)

www.austinlucasmusic.com


   


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