Laura
Marling A Creature I Don't Know
[V2/
Coop Music
2011]
La
tentazione è forte: una firma in calce e Laura Marling liquidata come un'altra,
l'ennesima figlioccia di Joni Mitchell e Sandy Denny, persa nelle melodie circolari
del folk rock d'autore di una stagione lontana, divisa fra i retaggi della sua
terra inglese e le tentazioni americane del produttore Ethan Johns. Facile, certo,
ma anche irrispettoso di un talento che disco dopo disco sta affrontando la sua
maturazione in pubblico: se qualcuno aveva già storto la bocca per il passaggio
dalla immacolata forma folk dell'esordio Alas I Cannot Swim al più ambizioso I
Speak Because I Can, resterà ancora più sorpreso dalle intenzioni
di A Creature I Don't Know, un disco scuro e avventuroso dove la
Marling si dice per la prima volta soddisfatta della raggiunta indipendenza. Lei
stessa sottolinea infatti come i legami artistici e sentimentali con Noah and
the Whale e Mumford & Sons avevano influito sulle opere precedenti, mentre il
nuovo corso ha preso forma in un lento cammino di introiezione, armata della sola
chitarra. La mano di Ethan Johns si sente ancora forte e chiara, questa
volta calcando la mano su alchimie più elettriche e un clima in generale più estroverso,
ma è innegabile che sia giunto a sovrapporsi solamente in un secondo momento.
Quello che conta oggi è l'idea che una ragazza di ventidue anni sia già l'indiscussa
musa del folk inglese, forte di due nomination ai Mercury Prize e di un'aspirazione
artistica evidente.
E' proprio The Muse,
sorta di trasfigurazione della sua persona, a dettare il tono, fra introspezione
e spiritualità, dell'album, un saltellante folk dalle trame jazzy che inevitabilmente
riporta alla stagione di mezzo della Mitchell. Ma c'è ben altro fra le pieghe
di A Creature I Don't Know: un'ingenuità di fondo che ci rammenta in definitiva
la giovane età della Marling e la sua ulteriore possibilità di crescita, nello
stesso tempo una sorta di saggezza fuori tempo che colloca le sue canzoni al di
là di qualsiasi raffronto contemporaneo. In tal senso bisogna sforzarsi di superare
i primi scogli, li dove l'eterea I Was Just a Card
e una fluttuante Don't Ask Me Why giocano
a rincorrere uno stile ormai riconoscibilissimo e un'eredità lampante con il british
folk d'annata. Superato l'ostacolo, comunque gradevolissimo, ci sono sorprese
che scaturiscono proprio dalla curiosità di una giovane autrice: i continui riferimenti
alla poesia e alla letteratura, l'ossessione per diavoli e angeli, in metafore
che hanno del biblico, saranno magari il segno di una certa inesperienza o forse
meglio innocenza, ma sono anche il riflesso di una grande semplicità.
Ecco
allora il cambio di registro, la chitarra spanish ad introdurre Salinas,
racconto "western" ispirato da una biografia di John Steinbeck, pronto ad aprirsi
in un secondo atto della canzone più elettrico. Tecnica che trova la sua migliore
applicazione in The Beast, oscuro capolavoro
del disco: chitarra e voci quasi impercettibili in apertura e una montante tensione,
pronta a deflagrare in un folk rock che ha il senso dell'epico. Struttura tipicamente
legata agli insegnamenti del genere, questo è vero, ma anche segnale che Laura
Marling ormai non teme di maneggiare le sue ispirazioni: Night
After Night è un lamento acustico degno di Leonard Cohen,
Rest in Bed torna nella bruma inglese e la scoppiettante My
Friend riprende un più familiare canovaccio che rimanda ai primi episodi
dell'artista. La dimostrazione però che A Creature I Don't Know sia il frutto
più interessante della finora fulmimante carriera della Marling arriva sul calare
dell'album: Sophia è una ballata dal fascino
antico, divisa in due tempi, dai vocalizzi celestiali della prima parte ai tratti
ruspanti della seconda, mentre All My Rage,
intrecciando i fili della tradizione tra una filastrocca acustica e un canto corale,
torna placida all'ovile del new folk inglese. Prendere o lasciare, Laura Marling
cambia pelle senza variare il tema portante della sua musica. (Fabio Cerbone)