Non sorprende trovare J Mascis in veste solista, "distrazione" che
più volte ha coltivato nella sua carriera (per non tacere di una buona fetta della
stessa avventura con i Dinosaur Jr., praticamente gestiti in totale autarchia
per diversi anni), semmai colpisce la natura stessa di Several Shades of
Why, disco che per la prima volta mostra davvero un certo grado di autonomia
da tutto il resto. Se infatti il diversivo a nome The Fog restava chiuso nel recinto
del rock'n'roll, in definitiva non così distante dagli stessi "Dinosauri"; se
inoltre il primo tentativo folk con Martin + Me (ormai il lontano 1996)
aveva più che altro il carattere di un abbozzo, oggi le trame si sono fatte più
precise, intuendo la direzione del musicista. Il che non significa affatto che
J Mascis si presenti sotto una luce nuova: sotto le ceneri covano lo stesso autore
di sempre e anche gli stessi amori musicali, i punti di riferimento (da un certo
folk psichedelico all'indie rock più rabbuiato, e naturalmente Neil Young a benedire
il tutto), i richiami hanno una loro importanza centrale nell'evocare un percorso
artistico che dura ormai da una trentina d'anni.
Several Shades of Why
però non ha semplicemente "levato la spina", perché all'andamento pigro
e alla voce strozzata che dettano la linea di queste ballate si sono aggiunti
spazi, idee, suoni più articolati del previsto. Non colpiscono subito, tanto è
vero che si è portati a leggere fra la sceneggiatura di brani come Listen
to Me e Not Enough semplicemente
una versione folkie della sua principale band di riferimento: qui tuttavia, a
lungo andare, escono allo scoperto dinamiche più malleabili, anche per merito
dei musicisti coinvolti. Nessuno si ritaglia il ruolo di prima donna, servendo
la canzone e il suo mood generale, per così dire, ma è altrettanto impossibile
non riconoscere una formalità, una compiutezza quasi inedita per Mascis in episodi
come la stessa Several Shades of Why e Make
It Right. Giocano a suo favore, come anticipato, gli interventi di
Suzanne Thorpe al flauto, Sophie Trudeau al violino, degli amici Pall Jenkins
(Black Heart Procession) al piano e di un importante sparring partner chitarristico
come Kurt Vile.
Ciascuno dentro un quadro preciso sembra accompagnare
l'attore principale, che mugugna meno del solito e si lascia trascinare in duetti
(Where Are You), scovando linee acustiche
di disarmante semplicità (Too Deep), riflesse
anche nel carattere dei testi. Certo non rinuncia qualche volta a fare imbizzarrire
la sua inseparabile compagna elettrica: nella coda finale di Is
It Done o fra gli scrosci in sottofondo alla vibrante chiusura di What
Happened si avverte il fremito di un irriducibile ragazzo cresciuto
dentro un muro di feedback, oggi forse soltanto più pacificato. L'età, si sa,
porta saggezza, ma non necessariamente appagamento. (Fabio Cerbone)