inserito 27/09/2011

Wilco
The Whole Love
[
dBpm/Anti  
2011]



Jeff Tweedy narra di un raccolto generoso, decine di canzoni che hanno alimentato la sua fervida ispirazione negli ultimi due anni, tra le quali scegliere il distillato migliore, quello che desse forma a The Whole Love. Il primo disco a sancire la totale indipendenza del gruppo (non che prima ci fossero stati segnali di un minimo cedimento, se non esclusivamente alla propria arte) per la neonata etichetta personale dBpm è quindi un nuovo punto di partenza, sintesi del passato per gettare uno sguardo verso l'età della saggezza dei Wilco. Chi ha già azzardato qualche corrispondenza di sensi con Summerteeth e Yankee Hotel Foxtrot non è caduto lontano dalla verità, nel senso che per ricaricare le batterie dopo stagioni interminabili di tour e sedute di registrazione, i Wilco hanno scelto un compromesso, o meglio un bilanciamento tra l'immediatezza e la sperimentazione, confine sul quale stanno giocando peraltro con maestria da un decennio almeno. The Whole Love strizza l'occhio quindi alla semplicità diretta di una canzone pop multicolore, memore anche dei recenti Sky Blue Sky e Wilco (the album), per deviare subito dopo verso una ballata ombrosa e folkie (Rising Red Lung forse l'apice di tale direzione), mai dimenticandosi di infilare da qualche parte la follia strumentale della band.

Il compendio di questo schema lo potremmo leggere fra le righe dei due poli opposti del disco: l'apertura di Art of Almost suona come un manifesto, ma è semmai un inganno, cuore avveniristico e pulsante dei Wilco, mentre One Sunday Morning è la chiusura di sipario che riprende la tradizione e la forma acustica dilatandola come una litania (dodici minuti!). La prima è collocata stranamente ad inizio del viaggio: l'immacabile brano un po' audace, un po' spiazzante appariva solitamente durante il percorso, qui invece annuncia subito una rivoluzione che non ci sarà affatto. Spirali ritmiche nelle mani di Glen Kotche, beat impazziti e pulsazioni, folle corsa finale con la chitarra di Nels Cline che scappa in ogni direzione mentre Tweedy media le parole tra il confessionale e il nonsense. Un mezzo capolavoro di art rock che non proclama nessuna svolta: quello che segue è la "norma" Wilco, zigzagante quanto si vuole, ma ancorata alla forma canzone. Quasi una "delusione" verrebbe da provocare...

I Might e Dawned on Me rivedono l'amore per il garage e il pop dei sixties aggiornandolo all'estetica dell'indie rock moderno, sempre alla ricerca del singolo perfetto (Born Alone la sintesi?), mentre la caciara elettrica di Standing O ricorda persino l'inizio carriera di Being There (ricordate Outtasite?). Non è l'unico richiamo presente: Sunloathe e la stessa Whole Love rincorrono l'affetto per i Beach Boys e guarda caso sembra di tornare davvero alle intuizioni di Summerteeth; Black Moon cova sotto le ceneri una ballata dagli echi western, ricordandoci la strada da cui Tweedy è partito vent'anni fa; Capitol City raccatta una melodia da music hall un po' frivola che pare degna del Paul McCartney ai tempi di Abbey Road. Nell'insieme sono tracce che anelano ad una evidente semplicità e dove forse mancherà il guizzo geniale o più naturalmente il colpo da ko. Per la prima volta un po' di mestiere insomma (ah, se il mestiere fosse sempre così…), ma nulla che tolga valore al viaggio di questa fantastica band.
(Fabio Cerbone)

Una versione deluxe - con un lussuoso libretto di una cinquantina di pagine - annovera quattro brani in più: una luminosa I Love My label, cover di nick Lowe, la quintessenza "wilconiana" di Message From Mid-Bar, uno strumentale in odore di space-rock intitolato Speak into the Rose e una nuova riproposizione di Black Moon.


www.wilcoworld.net


   


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