Greyhound Soul
Down
808 records 2002

1/2


Il loro amico Howe Gelb (Giant Sand) ha dichiarato "il suono del deserto è al centro dei Greyhound Soul". Ne prendiamo atto, tornando a parlare di questa formazione dell'Arizona a breve distanza dal recente Alma de Galgo (2001), disco con il quale avevamo approcciato la loro cruda miscela di spigoloso rock'n'roll e ballate desertiche. Down porta avanti le ambientazioni estreme ed aride del deserto americano, che si tramutano in un folk-rock oscuro, a tratti vorticoso come può esserlo solo un tornado, colpevole il rigurgito vocale di Joe Peña, minaccioso come pochi. L'esperienza dei musicisti coinvolti, gente navigata del circuito alternativo di Tucson, a cui si aggiunge il peso di ospiti quali Winston Watson (Bob Dylan) e Tommy Larkins (Jonatahn Richman), oltre alla produzione d'origine controllata di Craig Shoumacher, completano il quadro. Intervallando torbide ballate bluesy, una raucedine rock tra Tom Waits e Bob Dylan e cavalcate notturne di younghiana memoria, i Greyhound Soul (che si sono scelti un nome splendido) mischiano sapori seventies, organi vintage e chitarre al vetriolo, in un disco come sempre molto lungo (al limite dei settanta minuti) che chiede esperienza e palato fine per essere apprezzato fino in fondo. Se l'inizio è romantico nelle note dell'armonica in Turn Around e nella slide di Drive to The Moon, con un Joe Pena che mormora il suo personale blues, il proseguio accende la miccia del rock'n'roll: Drag Queen è una ballata elettrica pulsante, Hollywood parte attendista e scoppia in un finale da spasmi, mentre la strepitosa Rain potrebbe uscire dalla penna del Dylan più fosco. Un brano strumentale spezza idealmente la tensione ed apre il secondo atto: ritornano le romanticherie con i chiaroscuri di Shoulder e Rose, si vira poi al country d'autore con l'andamento dolcissimo di Comin' Home e quello più cialtrone di Little While, Little Girl (siamo dalle parti degli Stones più rurali) per ritornare tutti a casa nelle braccia del deserto con le asperità rock-blues di You Could be The One. Giù il cappello: gran bel disco per una band che meriterebbe più crediti
(Fabio Cerbone)

www.greyhoundsoul.com