Great Crusades
Never Go Home
Glitterhouse
2002

1/2


Nessuno credo gradirebbe reggere l'ingrato confronto con gente come Nick Cave, Replacements o Tom Waits. Costituiscono solo una piccola parte di un lungo elenco di nomi scomodati per descrivere la musica dei Great Crusades, solidissimo quartetto di Chicago giunto alla terza prova sulle ali dell'interessante Damaged Goods. Il nuovo lavoro, Never Go Home, è in realtà capace di stare in piedi con le proprie gambe, pur con tutte le influenze del caso. Gli accostamenti sono in fondo legittimi, perchè i Great Crusades parlano un linguaggio rock dai risvolti tradizionali, ma mai eccessivamente conservatore, in cui le loro radici punk-rock si scolorano in epiche ballate notturne, tinte di sfumature blues e soul. Merito soprattutto della voce baritonale di Brian Krumm: rauca e ricca di trasporto, enfatizza gli aspetti malinconici delle loro canzoni, presentandoli come una marmaglia di gangster romantici del rock'n'roll. Il songwriting è pervaso da originali storie di amori perduti, incomprensioni e dolorosi addii (Saugerties New York, Phyllis), mentre la band ricama sullo sfondo un rock'n'roll al tempo stesso crudo e sentimentale, segnato dalle sferzate chitarristiche di Brian Leach, dal piano e dalla pedal steel (Brian Wilkie). Le prime avvisaglie pendono a favore di una selvaggia elettricitą, con l'incedere minaccioso di Hand Grenade Head, torbido roots-rock con contorno di banjo alla maniera dei Sixteen Horsepower, e l'altrettanto ruvida e tenebrosa ballata Out of Our Little Town. Con la splendida Field of Sad Horses si cambia registro: un folk-rock scuro (ripetuto in Runaways) e pieno di languida nostalgia (Back Then) si imposessa della band. Lo strumentale, carico di riverberi surf-western, The Return of Ol' Carlo sembra dividere idealmente il lavoro in due tronconi. Ed è proprio nella seconda parte del disco che i Great Crusades acquistano fiducia nei propri mezzi, sfoderando sontuose ballate di sicuro effetto, tra cui si segnalano il lamento bluesy di A Star is Being Borne, l'armonia latina di El Gato Feo ed un finale che questa volta deve realmente concedere qualcosa al maestro Tom Waits con la pianistica Cold Weather e l'intensitą della stessa Never Go Home. Per chi ama le ore piccole.
(Fabio Cerbone)

www.thegreatcrusades.com