Black
Joe Lewis & The Honeybears Scandalous
[Lost Highway/ Universal 2011]
Difficile stabilire l'esatto confine tra rock'n'roll, soul, funky e blues
nella formula caleidoscopica di Black Joe Lewis & The Honeybears: è una
apparente caos che si tramuta in un giocoso abbandono, in uno sgraziato rendez
vous in qualche bettola del Texas, luogo di provenienza della band e del suo
leader, tagliando subito le gambe a chiunque voglia cristallizzare il suono selvaggio
di Scandalous in un clichè. E sarà questa probabilmente la fortuna
che - proviamo a lanciare una scommessa - renderà la musica di Black Joe Lewis
più significativa (e quindi più duratura) dei pur validi e numerosi fratellastri
alle prese con una simile reinvenzione del linguaggio black in questi anni.
La
differenza sta proprio in quella sensazione di grezza incompiutezza, in quell'idea
in fondo così normale (ma non è venuta a nessuno di recente, o per lo meno nessuno
l'ha messa su disco con tanta efficacia...) di appiccicare il blues più sporco
e da cantina nato nel profondo Mississippi (diciamo Junior Kimbrough, Fat Possum
e tutta la pericolosa compagnia dei juke joint…palesemente saccheggiati fra le
trame appiccicose di Jesus Take My Hand e
Ballad Of Jimmy Tanks) con i ritmi frenetici
di un funky rock che riesce prodigiosamente a unire le distanze in apparenza "abisssali"
fra James Brown e gli Stooges, due punti di riferimento che a detta dello stesso
Black Joe Lewis hanno rappresentato la sua educazione. Gli crediamo sulla parola
ascoltando l'introduzione di Livin' In The Jungle,
pura pantomima funk con la chitarra ritmica dell'inseparabile Zach Ernst e
una sezione fiati (Derek Phelps, tromba, Joseph Woullard, sax baritono, Jason
Frey, sax tenore) bollente pronta a mischiarsi con l'elettricità del gruppo.
In
questo senso Scandalous non potrà certo sfruttare l'effetto sorpresa dell'esordio
Tell 'Em What
Your Name Is!, ricalcando uno stile collaudato dall'intensa
attività dal vivo, ma avrà sempre dalla sua una compattezza figlia esattamente
della strada e del palco. Così arriva la stoccata di Booty
City, frenetica tanto quanto la gemella Blake
Snake, mentre I'm Gonna Leave You
omaggia il blues più paludoso e Messin' lo
declina in acustico, facendo risorgere lo spirito di un altro punto fermo di Black
Joe Lewis, ovvero sia Lightnin' Hopkins. Il canto del leader, strozzato, zoppicante,
è poi la conferma di questo percorso fra tradizione e elettricità: non possiede
il gancio del grande crooner, non svela tracce di una intensità soul drammatica,
e in questo senso è davvero figlio del rock'n'roll. Soltanto così ti spieghi il
talkin' aggressivo di Mustang Ranch e la sua
girandola fra torrido r&b e uno spirito quasi punk rock. Hot stuff avrebbero detto
gli Stones e come non farsi trascinare dal suono "garagista", semplicemente rock,
di You Been Lyin', arricchito da un caldissimo
sostegno vocale dei misconosciuti eroi locali The Relatives.
Scandalous
conferma le qualità di party band indemoniata degli Honeybears: mettetelo sul
piatto e accendete la serata! (Fabio Cerbone)