E' quasi mentre infilo il cd nel lettore che leggo la news che Juba Dance,
l'ultimo album di Guy Davis, è primo nella Hit Parade Blues Usa Top 50.
L'ultimo lavoro del bluesman newyorkese per la Dixiefrog esce coadiuvato dal nostro
armonicista Fabrizio Poggi, e insieme ne scaturisce un curioso melange
acustico talora nello stile piedmont, alla Sonny Terry & Brownie McGhee, per intenderci,
ma molto spontaneo e senza alcun artifizio di sorta nel voler apparire come loro.
Neppure quand'anche Davis abbia arrangiato a Broadway uno show dedicato a Terry
è questo l'intento del presente lavoro, sebbene alcune songs possano trarre in
inganno con quell'incedere fatto di alternarsi tra chitarra finger style e armonica,
pulita e "acustica". Ma poi, il sapore di Juba Dance si rivela nel complesso come
una spontanea ricerca sonora che rende un ventaglio di più umori da american folk
music a tutto tondo, invece che solo di uno stile, sicché è già di matrice deltatica
la My Eyes Keep Me In Trouble di Muddy Waters,
così come profuma di classico da settantotto giri Some
Cold Rainy Day in compagnia stavolta di Lea Gilmore, offrendo uno spaccato
che tralascia ben poco dalle radici intorno al Mississippi.
Suonano così
persino dylaniane le atmosfere della ballata Love Looks
Good On You, con quel che il menestrello di Duluth potrebbe aver carpito
a Mississippi John Hurt a Newport, e Mr. Davis non si fa proprio mancare nulla
nemmeno quando alla bellissima See That My Grave Is Kept Clean di Blind
Lemon Jefferson si aggiunge, prima dell'intervento alle ance, oltre a una "added
lyrics" di Guy, anche l'onda vocale degli amici Blind Boys Of Alabama,
per un classico senza tempo. C'è un'intesa tangibile di cui è persino possibile
testimoniare, tra il bluesman americano e l'ospite Fabrizio: in qualche live dalle
nostre parti li abbiamo anche visti in azione ed il feeling che ne emerge non
è qualcosa che si compera al negozio sotto casa, ma quest'album in studio, registrato
tra Hanover (Pensylvania), Bergamo e Atlanta, è l'approdo di una conoscenza di
vecchia data e un sodalizio musicale già presente nei bei dischi licenziati da
Poggi alla fine del nostro primo decennio in blues del ventunesimo secolo.
Così
la title - track come alcune altre diverte allorché lo stesso Davis si sbizzarrisce
tra banjo, battito di mani, cucchiai e ritmica del piede, e nel "blueseggiare"
assorto di alcuni pezzi del lotto, suona pressoché ogni cosa, che l'armonica accompagna
ora con un ululato solista, ora con corali accordi. Guy Davis è solo in poche
tracce, un quartetto che vede echi perduti di armoniche lontane in Did
You See My Baby (Lost John), mentre That's No Way To Get Along o
Saturday Blues rievocano pure il reverendo
Robert Wilkins o Ishman Bracey. Statesboro Blues rimanda a ricordi da Fillmore
East, ma nelle loro scelte, Guy Davis e Fabrizio Poggi tornano sempre alle radici,
regalando al contempo tradizione e modernità nel blues del nuovo millennio.