Guy Davis featuring Fabrizio Poggi
Juba Dance
[Dixie Frog/ IRD  2013]

www.guydavis.com


File Under: acoustic blues

di Matteo Fratti (06/11/2013)

E' quasi mentre infilo il cd nel lettore che leggo la news che Juba Dance, l'ultimo album di Guy Davis, è primo nella Hit Parade Blues Usa Top 50. L'ultimo lavoro del bluesman newyorkese per la Dixiefrog esce coadiuvato dal nostro armonicista Fabrizio Poggi, e insieme ne scaturisce un curioso melange acustico talora nello stile piedmont, alla Sonny Terry & Brownie McGhee, per intenderci, ma molto spontaneo e senza alcun artifizio di sorta nel voler apparire come loro. Neppure quand'anche Davis abbia arrangiato a Broadway uno show dedicato a Terry è questo l'intento del presente lavoro, sebbene alcune songs possano trarre in inganno con quell'incedere fatto di alternarsi tra chitarra finger style e armonica, pulita e "acustica". Ma poi, il sapore di Juba Dance si rivela nel complesso come una spontanea ricerca sonora che rende un ventaglio di più umori da american folk music a tutto tondo, invece che solo di uno stile, sicché è già di matrice deltatica la My Eyes Keep Me In Trouble di Muddy Waters, così come profuma di classico da settantotto giri Some Cold Rainy Day in compagnia stavolta di Lea Gilmore, offrendo uno spaccato che tralascia ben poco dalle radici intorno al Mississippi.

Suonano così persino dylaniane le atmosfere della ballata Love Looks Good On You, con quel che il menestrello di Duluth potrebbe aver carpito a Mississippi John Hurt a Newport, e Mr. Davis non si fa proprio mancare nulla nemmeno quando alla bellissima See That My Grave Is Kept Clean di Blind Lemon Jefferson si aggiunge, prima dell'intervento alle ance, oltre a una "added lyrics" di Guy, anche l'onda vocale degli amici Blind Boys Of Alabama, per un classico senza tempo. C'è un'intesa tangibile di cui è persino possibile testimoniare, tra il bluesman americano e l'ospite Fabrizio: in qualche live dalle nostre parti li abbiamo anche visti in azione ed il feeling che ne emerge non è qualcosa che si compera al negozio sotto casa, ma quest'album in studio, registrato tra Hanover (Pensylvania), Bergamo e Atlanta, è l'approdo di una conoscenza di vecchia data e un sodalizio musicale già presente nei bei dischi licenziati da Poggi alla fine del nostro primo decennio in blues del ventunesimo secolo.

Così la title - track come alcune altre diverte allorché lo stesso Davis si sbizzarrisce tra banjo, battito di mani, cucchiai e ritmica del piede, e nel "blueseggiare" assorto di alcuni pezzi del lotto, suona pressoché ogni cosa, che l'armonica accompagna ora con un ululato solista, ora con corali accordi. Guy Davis è solo in poche tracce, un quartetto che vede echi perduti di armoniche lontane in Did You See My Baby (Lost John), mentre That's No Way To Get Along o Saturday Blues rievocano pure il reverendo Robert Wilkins o Ishman Bracey. Statesboro Blues rimanda a ricordi da Fillmore East, ma nelle loro scelte, Guy Davis e Fabrizio Poggi tornano sempre alle radici, regalando al contempo tradizione e modernità nel blues del nuovo millennio.


    


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