Kenny Brown - Stingray Fat Possum 2003 1/2

E' cresciuto tra le leggende Kenny Brown, unico ragazzo bianco tra i juke joints del più profondo e depresso Mississippi: a diciotto anni già suonava con gli eroi del luogo, Johnny Woods, Joe Callicott e Fred McDowell. Poi, per quasi vent'anni, è stato il braccio destro di una delle ultime leggende viventi del Delta, R.L. Burnside, il quale ha sempre considerato Kenny come suo figlioccio adottivo. La slide assassina di Brown ha accompagnato le tappe fondamentali di una preziosa riscoperta, che ha potuto materializzarsi grazie alla Fat Possum. Ora, dopo tre lunghi anni di gestazione, è arrivato il momento di uscire allo scoperto con Stingray, primo lavoro a firma solista: con l'aiuto di una rodata band di amici (tra cui il figlio di Burnside, Cedric, alla batteria e Takeeshi Imura al basso), Brown si è servito di tutta l'esperienza accumulata sul campo per creare quaranta minuti di rozzo blues-rock, impaludato tra la melma del Mississippi, saccheggiando vecchi classici e traditionals, rivestendoli però di una sensibilità a metà strada tra il rock'n'roll di un uomo bianco e quelle dimamiche ipnotiche del cosiddetto stile downhome, portato alla ribalta da gente come il citato Burnside e Junior Kimbrough. Gli estremi sono individuabili da una parte in If Down Was Up, uno sporco funky-rock che sembra uscire dalla penna dei Rolling Stones, e Brought You To the City, che con quell'insistente sax che soffia alle spalle si trasforma in un bollente rhythm'n'blues; dall'altra in una serie di rispettose riproposizioni dei suoi amori blues, tra le ritmiche convulse di Miss Maybelle e Goin' Down South e le numerose pause acustiche che conferiscono al disco un'impronta da autentico classico. Splendide su questo ultimo versante Cocaine Bill, dove il basso riesce in una perfetta imitazione della tuba, la cantilena di You Don't Know my Mind e la chiusura di Fare Thee Well Blues, in cui la voce di Kenny Brown acquista la stessa credibilità dei suoi maestri.
(Fabio Cerbone)