La conclusione a cui inevitabilmente si giunge ascoltando le 14 tracce di questo
Pensieri Verticali, è che nella nostra amena penisola, dove di
recente si fa un gran parlare di meritocrazia, le opportunità migliori, i soldi,
il successo sono sempre appannaggio esclusivo degli amici, parenti ed affini dei
"soliti noti". E' semplicemente scandaloso che un musicista con le straordinarie
qualità di Stefano Barotti debba fare una fatica indicibile per aprirsi
un minimo varco nel mondo dello show-business. Ed è bene chiarire che la colpa
di tutto ciò non vada ascritta alla scarsa cultura musicale degli italiani che,
al contrario, in una ragionevole percentuale, sanno apprezzare e riconoscere la
buona musica, ma vada attributa unicamente alla grettezza mentale di discografici,
pesudo direttori artistici e selezionatori televisivi che ci impongono personaggi
la cui arroganza è pari solo alla vacuità del loro essere e per i quali dovrebbe
essere appositamente istituito il reato di "occupazione abusiva di palcoscenico".
Uno come Barotti a Sanremo potrebbe partecipare e vincere a mani basse
per i prossimi 10 anni (ammesso che questa possa essere una sua concreta aspirazione)
e potrebbe persino aiutare ad indirizzare verso migliori lidi una società sprofondata
nella sconcertante deriva dell'apparire. La delicatezza de L'uomo
Armadillo, una elegante pop song impreziosita da un flauto che rievoca
le atmosfere colte del folk di stampo anglosassone (Nick Drake, citato peraltro
più volte nel disco), dalle doppie voci di matrice vagamente west-cost e persino
da una minuscola citazione a Frank Zappa (l'Armadillo Brillo ricorda forse
il Camarillo Brillo di Over-Nite Sensation), ci dà subito l'esatta misura delle
raffinate qualità compositive e di scrittura di Barotti. Stefano sa elaborare
canzoni praticamente perfette nella loro semplice struttura e sa renderle fruibili
e vitali. Ha la passione tipica di coloro i quali usano la musica per esplorare
in profondità il proprio intimo e renderlo accessibile agli altri, che hanno divorato
vinili e tradotto in una originale sintesi la vasta gamma di stili, di suoni,
di sensazioni incamerati. De Gregori (La ragazza),
De Andrè e Bubola (Nerone) sono i numi tutelari ma anche l'ironia e la
genuità espressiva di Ivan Graziani hanno lasciato splendide tracce (Blues
del cuoco e Giudizio non ho), così
come i richiami ai songwriters americani, vecchi e nuovi, si sprecano (Bob Dylan,
Damien Rice e Matthew Ryan, giusto per semplificare).
Il risultato è un
album, il terzo, davvero ben fatto, una raccolta di brani splendidi ed efficaci
nella loro costruzione melodica, in cui la raffinatezza dei testi si sposa in
toto con la dolcezza e l'essenzialità espressiva di Stefano (le parole scivolano
sempre nitide e seducenti), suonato alla grande (c'è la partecipazione di gente
del calibro di Jono Manson, Paolo Bonfanti, Max De Bernardi, Henry Carpaneto,
Kreg Viesselman, John Egenes, Matteo Giannetti, Vladimiro Carboni, Luca Silvestri,
Nico Pistolesi, Echo Sunyata Sibley) ed arrangiato ancora meglio (Raffaele Abbate
ha fatto un lavoro semplicemente egregio). Detto ciò conviene senza dubbio avvinarsi
ai Pensieri Verticali di Barotti, al suo mondo parallelo e anticonvenzionale,
fatto di amori, ricordi, sogni ed immagini lontane dagli schemi, viste e narrate
dall'alto, da una visuale privilegiata, oltre quelle nuvole che coprono un universo
dove le cose quotidianamente svaniscono afflitte nell'ovvietà di accadimenti che
seguono solo la logica di un sistema arenato nel "pensiero orizzontale".