Paolo
Bonfanti Takin'
a Break
[Club de Musique 2011]
Paolo Bonfanti torna all'inglese e ai suoi amori "americani", miscelando
canzone roots e radici blues con la solita garanzia di esperienza e buon gusto.
A conti fatti sono più di dieci anni che non accadeva (erano i tempi di On the
Outside, sempre su Club de Musique), quanto meno con un album di studio di materiale
inedito, se pensiamo che nel frattempo erano apparsi un intero disco di cover
(The
Chosen Few), il progetto Gamblers con Jono manson e John
Popper e soprattutto gli interessanti tentativi di avvicinarsi alla scrittura
in italiano, buon ultimo il convincente Canzoni
di Schiena del 2009. Takin' a Break riprende invece
la via della tradizione su cui si è formata la chitarra funambolica e il songwriting
del musicista ligure, e lo fa addirittura raddoppiando la posta poichè
in contemporanea propone anche un lavoro a quattro mani (Purple House,
dal taglio più r&b e soull) con il bassista e collaboratore di lungo corso David
James (qualcuno si ricorda dei Fish Heads & Rice?).
Restando però al solo
Bonfanti, il rosso di copertina di Takin' a Break suggerisce passione e intensità,
che trovano conferma nelle dieci tracce, in buona parte all'altezza delle qualità
già espresse in trent'anni di carriera. Soprattutto si conferma l'impressione
che Paolo Bonfanti sia uno dei musicisti italiani che con più intelligenza ha
saputo superare le "barriere" già scritte del blues tout court, cercando
ispirazione in una american music dai mille linguaggi, lasciando magari
ai concerti il compito di amplificare la sua indiscutibile tecnica chitarristica
e preoccupandosi invece di mantenere in studio una attenzione per i dettagli delle
canzoni e persino per la profondità delle parole. È innegabile ad esempio
la forza narrativa di Shoot 'Em all down,
sorta di b-movie in piena regola dove una storia di vita ai margini diventa la
scusa per un ritratto degno di un film da fratelli Coen; o ancora il commento
sociale di Isolation Row e gli sproni e la
forza che scaturiscono da Hands, episodi poi
mediati da riflessioni più personali, anche con un taglio malinconico in Nowhere
Fast e Late Again. Tutto ciò si
riflette, come anticipato, anche sulla resa dei brani, che attraversano una serie
di umori: partendo dalle trame gospel di Dark and Lonesome
Night, con una chitarra elettrica cruda e distorta e un violino (Fabio
Biale) dal sapore rurale, si arriva alla dolcezza folk rock di
I Got a Mind e Nowhere Fast illuminate
dall'accordion di Roberto Bongianino, così come al picking leggero e countreggiante
di Late Again, episodi che potremmo davverro
aspettarci da uno dei mille songwriter che rischiarano la provincia americana.
Il calore del blues, sia chiaro, non è scomparso, ma con la curiosità
propria del musicista, si declina in diverse forme e si mischia al resto del materiale:
la citata storia "politicamente scorretta" di Shoot 'Em all down si presta ad
un clima swamp appiccicoso, Between Me and You
macina un boogie altrettanto pigro e sudista, mentre Isolation
Row staziona a metà strada fra la Lousiana e uno spedito rock'n'roll
stradaiolo. Peccato soltanto per un rush finale più confuso, tra uno strumentale,
Meteorology, che poco si amalgama al resto
del repertorio, ed una Hands costruita eccessivamente
sul groove (anche con l'utilizzo di qualche loops elettronico nella ritmica) ma
troppo accartocciata su se stessa: spezzano una certa intensità che si era andata
creando e che ritroviamo per fortuna con la chiusura acustica, solitaria della
title track. In ogni caso un'attesa, quella del "ritorno a casa" di
Bonfanti, sicuramente ben ripagata. (Fabio Cerbone)