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inserito
24/07/2009
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Lo avevamo auspicato nel presentare i precedenti
lavori e i Rusties pare ci abbiamo ascoltato: dopo anni di sincera
militanza, seguendo la stella polare di Neil Young, la band di Marco
Grompi e Osvaldo Ardenghi (voci, autori e coppia di chitarre,
completati da Dario Filippi al basso e Paolo Guerni alla batteria) compie
il passo necessario da semplice, seppure lodevole, gruppo-tributo a qualcosa
di decisamente più personale. Dieci episodi composti interamente dai due
principali animatori del progetto Rusties, che fanno tesoro dei propri
affetti musicali, dello stesso Young e della sua musa ispiratrice, per
affrontare tuttavia un repertorio indipendente. La sincerità artistica
di Move Along è innanzi tuto quella di non avere assolutamente
tagliato i ponti con la storia precedente: le nuove canzoni hanno il respiro
del rock d'autore westcoastiano (By Your Side
e Tracks, sospinte da una non irrilevante
cura delle parti vocali), l'impronta indelebile del canadese (dalle inevitabili
somiglianze vocali di Grompi in The Show
alla grezza elettricità di Soldier of the Fortune,
sfiorando realmente l'imitazione nella sola Low
Spirits), ma vi aggiungono anche lampi di assoluto carattere,
qualche digressione pop e venature di morbida psichedelia (Eclipse
in apertura, fra le più interessanti e fuori schema dal punto di vista
ritmico e compositivo) che rendono il disco una bella promessa. Due in
particolar modo le rivelazioni di Move Along: una tenerissima confessione
folk nella stessa title track, con la voce della "Honorary Rusties" Cristina
Donà che la conduce per mano, grazie anche ai delicati contrappunti
di Massimo Piccinelli al pianoforte; il profumo dell'Irlanda (e dei Waterboys
potremmo aggiungere) nella limpida Above Everyman,
folk rock che sprizza scintille nell'intreccio fra chitarre, piano, voci
e violino (Jada Salem). Tra gli ospiti anche la chitarra di Robi Zonca,
che sparge qualche raffinato profumo bluesy in You'll
Never Know. Move Along è una notevole dimostrazione
di crescita artistica, che evidentemente covava sotto l'abito più
"comodo" della band tributo.
Ad una comune matrice West Coast, e in generale ad un afflato da nobile
folk rock anni '70 si rivolgono anche i Not For Sale, sestetto
che guarda caso proviene dagli stessi luoghi dei Rusties e che nel suo
curriculum ha incrociato sia Neil Young (una cover di Like a Hurricane
nell'omonimo disco del 2006) sia quell'America del dopo Woodstock che
ha alimentato l'esordio della band (un disco di sole cover nel 2004).
Similitudini che tuttavia non lasciano assomigliare troppo i due approcci
e soprattutto non sminuiscono la personalità di entrambe le formazioni.
Nel caso dei Not For Sale, qui alle prese con un ambizioso The Borders,
undici lunghe cavalcate per un'ora abbondante di musica (forse eccessiva,
qualche taglio avrebbe giovato), il legame con le fonti di ispirazione
appare più accentuato, manifestando un debito a tratti eccessivo, pur
nella totale onestà degli arrangiamenti e del gioco di squadra. Colpiscono
infatti in prima battuta la cura delle voci e lo scambio di idee e canzoni
fra i tre autori e chitarristi Pier Francesco Morandi, Nicola Falconi
e Paolo Bazzana, in grado facilmente di evocare la California di CSN&Y,
il sogno spezzato di quella generazione (Around
Yourself porta una dedica per Fernanda Pivano), infine le tessiture
elettro-acustiche del primo country rock, mantenendo un buon equilibrio
fra tecnica ed espressività. Come anticipato manca ancora la capacità
di eleborare con più fantasia la propria voce: Cross
That River e Drive This Sky
possiedono le "good vibrations" di quell'epoca,
Every Single Lie sfodera persino potenzialità pop, tutte
propongono testi in inglese semplici, attualizzati e curati nei minimi
dettagli (qualcosa va decisamente migliorato però in fase di pronuncia),
ma manca ancora quel briciolo di malizia per uscire dall'attaccamento
ai modelli di cui sopra. Il disco perde inoltre un po' di fascino nella
seconda ideale facciata, soprattutto fra i tentativi di "incattivire"
il sound: i rudivi tratti rock blues di No Signs
at All e Heads or Tails? non
paiono essere fatti su misura per la band.
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