inserito 17/11/2008


John Strada
 Dalla periferia dell'anima  [John Strada 2008] 6.5
Les Trois Tetons  A Pack of Lies  [3tetons 2008] 6.5
Teka P Pan e Larsen [Decam 2008]
5
The Rusties Last Rust...The Best and the Rest [Rusties/IRD  2008] 6

Apriamo questa nuova panoramica sugli indipendenti italiani con l'interessante progetto di John Strada, intitolato Dalla periferia dell'anima, opera complessa che cerca con coraggio di interagire su diversi livelli artistici: non solo un disco infatti, semmai un progetto ambizioso che coinvolge fra gli altri i racconti di Gianluca Morozzi, ciascuno affiancato alla singola canzone di riferimento (li trovate tutti nel curatissimo libretto interno), il lavoro fotografico e pittorico di Andrea Samaritani che arrichisce anch'esso il booklet, infine il video del brano Crevalcore 07.01.05 realizzato da Federico Regoli (sempre disponibile all'interno del cd, in lettura sul vostro Pc). Al centro restano evidentemente le composizioni di John Strada, autore solitamente legato a sonorità più elettriche e di ispirazione blue-collar (tre lavori di studio a partire da Senza tregua del 1991, cui vanno aggiunti un ep e un live acustico, questo sino ad oggi il suo bottino discografico), che coraggiosamente tenta "una fuga" verso le radici folk italiane e la canzone d'autore, forse spinto anche dal peso specifico delle tematiche, ispirate da un impegno sociale e da un generale sguardo verso le periferie del mondo, fra tragiche storie di immigrazione ed esclusione nell'Italia dei nostri giorni. Musicalmente cristallino (fra i tanti di distinguono le fisarmonica e il piano di Gianmarco Banzi e la chitarra classica di Nelson Machado), guidato da un timbro acustico semplice e al tempo stesso arricchito di molte sfumature pop (Dimmi tu come si fa, Zaira) e persino tentazioni world (Scheletri), Dalla periferia dell'anima convince per la sua immediatezza e per l'onestà nell'affrontare temi scomodi con un sguardo appassionato. Manca probabilmente un peso specifico maggiore nelle liriche, le quali appaiono a tratti un po' troppo naif (Oro Rosso, Mohamed) o semplicemente troppo scontate (la più debole senz'altro Occhi Spagnoli) per riuscire a reggere gran parte degli argomenti affrontati. Peccato veniale che speriamo possa trovare qualche accorgimento in futuro. Il percorso è quello giusto.
www.johnstrada.it

E sulla buona strada sembrano indirizzarsi anche Le Trois Tetons, bizzarro nome di un quintetto che si cela dietro misteriosi nickname (la voce e le chitarre di Zac, la solista di Barbon, il basso di Icarus, la batteria di Guido e il sax aggiunto di Gian), i quali, grazie all'uscita del secondo episodio A Pack of Lies, sterzano decisamente rispetto alle indecisioni del loro esordio, già commentato su queste pagine. Se la preparazione strumentale non era in discussione fin dall'inizio, ciò che colpisce questa volta favorevolmente è l'ottimo gioco di incastri fra ritmi e parole, testi in inglese semplici ma a loro modo suggestivi e dritti al cuore del loro rock'nroll. Quest'ultimo si mostra in tutte le sue sfumature "settatesche", con un suono per la maggior parte scarno, chitarristico mai sopra le righe o eccessivamente sbilanciato verso un'epopea hard rock: anche le trame più scure della rocciosa Disappear riescono infatti a vivere di contrasti fra accelerazioni, slide guitar e buona cura delle parti vocali. Il loro è un guitar rock che odora piuttosto di Stones "maledetti", un punto di riferimento inequivocabile nella torbida Useful Sevants e fra le ombre sudiste di Thirteen Feet under The Ground, bilanciato a dovere fra acustico ed elettrico. I miglioramenti risiedono tutti nella capacità di essersi distaccati da un semplice clichè, mettendo in mostra soluzioni e arrangiamenti più fantasiosi e personali, che con una direzione produttiva accurata e qualche aggiustamento di rotta potrebbero dare ulteriori soddisfazioni. La scaletta non è necessariamente tutta riuscita, resta comunque generosa e in grado di imprimere un interessante cambio di marcia nella seconda parte di A Pack of Lies, cominciando dalla sinuosa Runaway, passando per il sax di una Cherry Red che ha il passo sexy di alcune rock'n'roll band di New Orleans (Subdudes e Iguanas ad esempio) e arrivando alla inusuale carezza jazzy della conclusiva Can't Be Trusted
www.3tetons.it

Torna la brigata milanese dei Teka P, di cui mi ero personalmente invaghito in occasione del loro frizzante esordio, Caragna No, due stagioni fa. Non è il caso di rimagiarsi la parola, anche perché l'intelligenza di quel disco nel rivitalizzare la tradizione del canzoniere-cabaret lombardo alla luce di sonorità rock & soul resta ancora oggi un interessante proposta. Purtroppo il qui presente Pan e Larsen sembra eccedere troppo nel multiforme linguaggio musicale del gruppo, portando parecchia confusione sulla tavolozza dei colori musicali. Pop, rock, reggea, black music si infiltrano nella scrittura di Ivo Magnini e Andrea Rodini come un tempo, perdendo però la bussola con collaborazioni estemporanee, provocazioni ridanciane che francamente lasciano il tempo che trovano (le voci di Bruno Pizzul ed Evaristo Beccalossi nella parodia calcistica di Tira; Claudio Bisio in Taka a Sonà e Tri Pess), a meno di non considerare più importante l'aspetto colorito dei Teka P rispetto ad un impegno musicale che in passato sembrava prevalere. In Pan e Larsen (infelice anche la copertina) lo si ritrova a fatica: nello scioglilingua coinvolgente di Tiketetaketitak, nei personaggi strampalati che popolavano così fervidamente il lavoro precedente (qui soltanto in Susy Boots). Per il resto si apprezzano evidentemente le doti tecniche dei musicisti (Giamò Primavera), un po' meno la sostanza delle canzoni.
www.tekapi.it

Chiudiamo infine tornando in ambiti più sensibili alle fonti di ispirazione di questo sito per segnalare l'uscita di Last Rust…The Best & the Rest dei Rusties, storica formazione tributo alla musica del loner canadese Neil Young, che in questi anni ha saputo ritagliarsi un suo specifico spazio nelle riproposizione del songbook younghiano, con una buona dose di personalità. Restiamo sempre dell'idea che la migliore condizione per apprezzarli sia assistere ad una loro serata, mentre la pubblicazione di una raccolta come questa potrà forse lasciare perplessi: si tratta infatti di una curiosa antologia che riunisce estratti non solo dai loro precedenti lavori di studio - Rusties Never Sleep e Younger Than Neil - ma anche diverse tracce dal vivo, tra cui quattro brani da una esibizioe a Radio Popolare del 2007, una versione acustica di Southern Man in teatro, una Mansion on the Hill dalla fotunata apparizione dall'Orange Blossom, festival organizzato dall'etichetta Glitterhouse in Germania, e persino un paio di bonus track (Fukin' Up e Powderfinger) definibili come "audience recordings", in puro spirito da "bootlegari". In attesa di un debutto imminente con materiale originale (come anticpato dallo stesso vocalist Marco Grompi), la storia dei Rusties è ben celebrata.
www.rusties.135.it

a cura di Fabio Cerbone


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