Daniele Tenca
Wake Up Nation
[Route 61  2013]

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File Under: political boogie

di Fabio Cerbone (28/01/2013)


Un percorso di chiara coerenza artistica diventa oggi anche una piena maturazione sonora: Daniele Tenca ha rodato il motore della sua band, presentandosi all'appuntamento con Wake Up Nation più serrato e rock che mai, anche più sicuro nella voce e nella conduzione dei musicisti. La differenza non è di poco conto e la si coglie forte e chiara alle prime batttute di Dead and Gone, battito delta blues scurissimo e anima elettrica, la stessa che caratterizza un album musicalmente più asciutto, sferzante. Si tratta della naturale evoluzione delle diverse caratteristiche che gareggiano all'interno del gruppo: da una parte la fomazione blue collar di Tenca, dall'altra l'assalto blues delle chitarre di Leo Ghirindelli e Heggy Vezzano.

Mai come in questa occasione l'incontro ha dato tali e tanti buoni frutti: se Blues for the Working Class era stato il primo interessante tentativo di spostarsi dal rock in italiano verso le radici americane, mantenendo però l'impegno civile (il tema era quello scomodo delle morti sul lavoro) e la scrittura "popolare" e genuina che gli derivava dalla sua formazione springsteeniana; se il successivo disco dal vivo rappresentava la fondamentale crescita in pubblico e la maggiore intesa della band; oggi Wake Up Nation capitalizza la convinzione dei musicisti in un sound crudo, affilato, un rock blues che mette insieme il boogie sudista dei migliori ZZ Top (la limacciosa Default Boogie) con il rinnovato approccio dei Black Keys (la stessa title track). Tutto ciò mantenendo inalterata l'attenzione di Daniele Tenca per argomenti che non siano banali immagini, luoghi comuni e scopiazzature del linguaggio americano. Tutt'altro: al centro di Wake Up Nation stazionano le paure, i drammi, le incertezze sociali e politiche, la voglia di riscatto dei padri e dei figli schiacciati dentro la crisi di queste stagioni, una sorta di chiamata, appunto, ma anche un esame di coscienza generazionale. Se pensate che questo abbia prodotto retorica, prediche e finti moralismi non avete idea dell'intelligente formula che hanno saputo offrire alla causa brani come la stradaiola Big Daddy (qualcosa a metà fra il pub rock dei Dr. Feelgood e il rock'n'roll operaio dei Del Lords, con un testo fra i più sarcastici e divertenti), il limpido folk rock della ballata Silver Dress, il paludoso blues che sgorga da The Wonds Stay With You e dalla stessa Wake Up Nation, quello più classico in odore di Chicago di What Ain't Got (all'armonica l'ospite Andy J Forest) e What Did You Do.

"Costretto" infatti nella sintesi delle dodici battute, da un linguaggio diretto, solo apparentemente "povero" rispetto all'italiano, Daniele Tenca offre versi spietatamente efficaci, che non sprecano inutili sermoni, ma si inseguono in un'unica formula con il groove creato ad arte dalla band. Quest'ultima, come anticipato, suona spiritata e particolarmente su di giri, a partire anche da un'azzeccata scelta delle cover, che non capitano a caso nella scaletta del disco: Last Po' Man di Seasick Steve ha una naturale giustificazione stilistica all'interno dell'album, trasformandosi in un trascinante, indiavolato downhome blues; la dylaniana It's All Good (da Together Through Life) rotola su un tappeto boogie roots dove le chitarre sottilineano il mood del brano e si mescolano con l'accordion di Riccard Maccabruni (Mandolin' Brothers), ricordando le atmosfere del Tom Petty di Mojo; Society (conosciuta nell'interpretazione di Eddie Vedder nella colonna sonora di Into the Wild) è il degno crepuscolo acustico che riflette sulla follia di questo mondo dominato dall'economia.

In Wake Up nation ci si indigna a tempo di blues e si riflette accompagnati dagli accordi del rock'n'roll: non si potrebbe desiderare di meglio.


    

 


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