Ben Glover
Atlantic
[
Carpe Vita Creative/ IRD
2014]

www.benglover.co.uk

File Under: folk rock, Americana

di Fabio Cerbone (04/12/2014)

La distanza tra la contea di Donegal, Irlanda del Nord, e le coste degli Stati Uniti è misurata dalla vastità dell'oceano Atlantico e su questa dualità geografica (e umana) si pone la riflessione musicale di Ben Glover. Il secondo disco "americano" del giovane songwriter irlandese, ancora una volta prodotto con Neilson Hubbard (Kim Richey, Matthew Ryan e un discreto curriculum tra indie rock e folk), è un compromesso fra le sue passioni e le sue radici: da una parte la terra che lo ha cresciuto e dove ha sognato per tanto tempo i suoi idoli musicali, dall'altra quella che lo ha adottato (si è trasferito a Nashville dal 2009). Lo scontro ideale di questi poli di attrazione ha generato forse il suo disco più interessante fino ad oggi, frutto anche di importanti collaborazioni nella stesura dei singoli brani. Glover, infatti, firma in coppia con l'amica Mary Gauthier, con Rod Picott, lo stesso Hubbard e Gretchen Peters numerosi episodi di Atlantic, trovando una sua espressività che il precedente Do We Burn the Boats? lasciava soltanto intravedere.

Una raccolta di morbide ballate folk rock, di distanti e malinconici profumi irish che si diluiscono però nell'anima country e roots di Ben Glover. Dopo avere frequentato la crema Americana di Nashville, dopo avere visitato i luoghi natali che furono di Johnny Cash e Hank Williams (Glover racconta di essersi fatto un goccio di whiskey alla salute di Hank sulla sua tomba...), il risultato è nell'espressività di Oh Soul e Too Long Gone, con elementi gospel nell'uso delle voci, nel lontano mormorare della steel (Kris Donegan) di uno splendido walzer intitolato True Love's Breaking My Heart, senza rinunciare ai sussurri da folksiger di This World is Adnagerous Place, canzone scritta con Rod Picott ed effettivamente molto prossima allo stile di quest'ultimo.

Glover ha registrato buona parte dell'album in presa diretta, nella sua casa irlandese, dove ha voluto fare ritorno, quasi per metabolizzare il viaggio americano: intorno a lui Neilson Hubbard e alcuni musisicti locali, tra i quali Matt McGinn al basso e Colm McClean alle chitarre. L'espediente è riuscito a non far disperdere gli accenti personali della sua musica, rendendola meno derivativa che in passato. Completato poi da alcune sessioni nashvilliane, Atlantic ha prodotto un paio di duetti con la citata Gretchen Peters in Blackbirds e nella romantica The Mississippi Turns Blue, essenziali per circoscrivere il sound elettro-acustico e pacato del disco, quintessenza di un certo cantautorato di ispirazione Americana. Probabilmente fin troppo disciplinato per alcuni, Atlantic offre però belle canzoni e una voce densa e matura, che si misura con i riverberi di Prisoners e il country rock speziato di soul di Take and Pay (degna di un Buddy Miller) fino al gioviale siparietto roots di Sing a Song Boys, elegia per il ritorno a casa. Piacevole sorpresa in ambito cantautorale di fine stagione.

    


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