Orfani degli outlaw di tutto il mondo riunitevi, Sturgill Simpson è tornato
a colpire ad un solo anno di distanza dal suo notevole esordio High
Top Mountain. Sono stagioni di buon raccolto per il genere, mi pare
di poter dire. Mentre aspettiamo il prossimo passo discografico di Jamey Johnson
(sperando che a Nashville non gli cambino il vestito), appresa con piacere l'esistenza
di atipici cowboy canadesi come Daniel Romano e Corb Lund, sulle tracce di Gram
Parsons, possiamo aggiungere definitivamente anche il nome di Simpson alla grande
tavola di questi novelli "fuorilegge". La voce di questo autore del
Kentucky, trasferitosi nella capitale della country music, continua a ricordare
paurosamente lo spirito di Waylon Jennings, sua vera, direi quasi esclusiva musa,
anche se il qui ambizioso Metamodern Sounds in Country music (titolo
un po' enfatico) cerca di allargare gli obiettivi, riuscendoci in parte. Registrato
in soli quattro giorni presso gli studi di Dave Cobb (guarda caso un produttore
che ha lavorato con talenti come Jason Isbell, il citato Jamey Johnson e Shooter
Jennings...tanto per capire da che parte andiamo a parare), l'album, breve e dritto
al punto come si direbbe, è stato concepito insieme alla touring band di Sturgill
e senza le partecipazioni altisonanti che impreziosivano il suo debutto.
Sono
infatti il basso di Kevin Black, la batteria di Miles Miller e soprattutto le
chitarre di Laur Joamets a sostenere il vocione baritonale e potente di Simpson,
senza troppi compromessi e cercando probabilmente di catturare in studio l'intesa
del palco. Nella prima parte si può ben dire che ci siano riusciti: la cinquina
iniziale è da leccarsi i baffi per chi insegue un country rock arcigno, tradizionale
e fedele alla linea. Turtles All The Way Down,
strano testo su amore, droga e religione (temi che insieme alla filosofia emergono
in maniera singolare per un disco d country music), ispirato al dottore delle
sperimentazioni allucinogene Rick Strassman, è un classico al primo istante, cadenzato
outlaw country che sa di pieni anni Settanta, da qualche parte fra Jennings e
Billy Joe Shaver. Life of Sin dà i 4/4 in
partenza e si lancia in un ritmo honky tonk più pepato, mentre la slide di Living
The Dream e le sue atmosfere bluesate si spostano sulle strade del
Deep South. Chitarra e piano nella ballata Voices credo sbuchino direttamente
dai solchi di Honky Tonk Heroes di Jennings, un santino che Sturgill Simpson non
pare proprio voler mollare. Quando arriva Long White
Line poi, è l'apoteosi della mitologia della strada, autentica truck
drivin' song che esalta il suono crudo delle Telecaster (o almeno piace immaginarle
così).
La curiosa scelta di reinterpretare in chiave country romantica
il brano The Promise, un ripescaggio del trio
dance pop inglese When In Rome, o i giochetti moderni con i loop ritmici infilati
nella psichedelica It Ain't All Flowers la
dicono lunga sul presunto conservatorismo e la macanza di originalità di artisti
come Simpson. Sono forse degli "stilisti", ma non si prendono troppo sul serio:
la trovata funziona, anche se non nego che lo sbuffare rockabilly alla Johny Cash
di A Little Light Within' (un minuto e mezzo
di vera goduria) o il dolce walzer di Pan Bowl piazzata come bonus track
siano alla fine più efficaci. La conferma che aspettavamo, Sturgill Simpson è
un osso duro.